Rassegna storica del Risorgimento
anno
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1974
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pagina
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529
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Il pensiero politico di Scipio Sighele 529
messe a vuoto.-) Né si pensi, egli sostiene, che il disaccordo con la politica di Tittoni significhi volere la guerra contro l'Austria; gli irredentisti non sollecitano mia politica estera più incisiva per questa eventualità, ma solo per dare all'Italia una forza dignitosa: tema, questo, che ricorrerà con frequenza nelle pagine del Sighele e con il quale egli vorrà caratterizzare il suo irredentismo come realistico perché slegato da ogni volontà di aggressione armata nei confronti dell'Austria.
Nel marzo del 1909 Scipio Sighele, dopo aver tenuto due conferenze a Trieste, partiva per Serbia, Bulgaria e Rumenia per conoscere, più da vicino, la questione balcanica.2) L'impressione che ne riportava era allarmante e si traduceva in un giudizio politico di estremo interesse: ...ho parlato con molti uomini politici insomma mi sono fatto delle idee più chiare. Che cosa avverrà è difficile dire. Forse la verità è che l'Austria, fingendo di voler la pace, fa di tutto per rendere necessaria la guerra . Rilevava che gli italiani, in Serbia, erano molto amati, che lo stesso ministro degli esteri ed il Presidente della Scupcina, parlando in perfetto italiano, esprimevano tutta la loro simpatia per ritalia ma si lagnano soltanto che il nostro governo parteggi troppo per l'Austria .3)
L'idea della remissività del Governo italiano di fronte a quello austriaco parve al Sighele riconfermarsi in occasione dell'incidente del generale Asinari di Bernezzo, messo a riposo per aver alluso a Trento e Trieste, parlando agli ufficiali nell'autunno del 1909. Non che dal fatto egli traesse le conclusioni di altri orientati verso il nazionalismo o potesse consentire con le chiassate messe in scena per questo dai futuristi; le sue riserve riguardavano il modo esitante e quasi timoroso con il quale il Governo italiano trattava tutto ciò che poteva avere rapporti con l'irredentismo e perciò con l'Austria. Sull'Asinari anzi il suo giudizio era di una estrema obiettività, non incrinata dal riflesso di senti* menti patriottici che pure erano presenti nel considerare l'atteggiamento assunto dal Governo e dalla slampa sull'incidente. Così del fatto egli parlava al Pedrotti scrivendo da Firenze il 19 novembre 1909 : ... mi permetterai di dirti che, secondo me, l'Asinari fece uno sproposito. Certe cose non devono essere dette da un comandante d'un corpo d'esercito. Sono felice che le pensino, oltre a molti ufficiali, anche i generali, ma vorrei che quelli non facessero della politica in pubblico. S'intende, che il nostro governo come sempre fu troppo vigliacco. Bastava mettere l'Asinari in disponibilità e non a riposo. E s'intende che anche i nostri maggiori giornali sono corsi troppo nel baciare i piedi all'Austria. Io volevo scrivere un artìcolo sereno per la Stampa, ma so per esperienza che in queste delicate questioni di politica estera, il giornale non lascia libertà ai collaboratori. E me ne astenni.
Il 1909 ei chiudeva con gli accordi di Racconigi, che salvaguardavano, nei confronti della Russia, gli interessi italiani in Libia e con le dimissioni, il 2 dicembre, del ministero Giolitti. La caduta di Tittoni, legata alla crisi ministeriale, esaltava le correnti d'opposizione extraparlamentare. Nel marzo Enrico Corradini invitava, attraverso il giornale La Grande Italia tutti gli uomini di fede a riunirsi in un prossimo congresso; nell'agosto era divulgata una circo*
1) a Non ottenere dei successi diplomatici è sventura che dobbiamo sopportare [...]: ma L..1 offrire al mondo lo spettacolo di un ministro che promette grandi cose per poi raccogliere un pugno di mosche, è una vergogna... . Ibidem, p. 154.
2) Lettera a G. Pedrotti, da Firenze, in data 20 marzo 1909.
3) Lettera a G. Pedrotti, da Belgrado, in data 25 marzo 1909.