Rassegna storica del Risorgimento
ADDETTI MILITARI ITALIANI GRECIA 1904-1908; ADDETTI MILITARI IT
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1974
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La rivoluzione dei Giovani Turchi
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V. ELIA, La deposizione del sultano Abd ul Hamid. L'esercito, il comitato, U paese
Costantinopoli 30 aprile -6 maggio 1909
Il 27 corr. spedivo a codesto Comando il mio telegramma annunciante la deposizione del sultano Abd ul Hamid e la proclamazione del suo successore, quanto tuonavano lo salve di saluto delle batterie. Queste salve segnavano la fine della breve rivoluzione militare, scoppiata improvvisamente il 13 del mese nel presidio, domata energicamente nella giornata del 24 e 25; segnavano pure la fine di un regno di trentatre anni, che possono contare tra i più infelici nella storia di questo paese. Uscirebbe dall'indole e dai limiti di questo rapporto anche la semplice enumerazione del male che il regime hamidiano fece all'impero turco. Cominciò con una guerra disgraziata; con la perdita di estese province in Europa e in Asia; proseguì con la rovina finanziaria; con la perdita del prestigio all'estero; fra ribellioni sanguinose all'interno (quella dello Yemen per esempio, assumenti l'aspetto e l'importanza di vere guerre); con massacri e atrocità senza nome in Armenia, nel Libano e in Anatolia; con la guerra civile a Creta e in Macedonia e con l'anarchia in Albania. Sola impresa riuscita, né invero soverchiamente difficile, la breve campagna di Tessaglia, dopo la quale i turchi benché vittoriosi vedevano rettificare, con qualche danno per loro, le frontiere. Le finanze dell'impero andavano tanto male che l'Europa, nell'interesse dei portatori dei titoli ottomani, le metteva sotto tutela; analoga sorveglianza imponevano le potenze alla polizia interna delle province rumeliote, con la riorganizzazione della gendarmeria affidata ad ufficiali europei. La riforma giudiziaria sarebbe stata certamente ottenuta nell'anno testé scorso (1908) se la rivoluzione del luglio, istaurando il regime costituzionale e proclamando l'uguaglianza di tutti gli ottomani di qualunque razze e religione davanti alla legge, non vi avesse fatto soprassedere. Tutti i mali e non sono pochi ai quali ho accennato, erano forse inferiori al massimo danno che Abd ul Hamid inflisse al suo popolo: e cioè la rovina del sUo carattere. È qui ritenuto come verità di dogma che quello che più intollerabile riusciva al deposto sultano era la presenza di un uomo onesto intorno a sé. L'uomo integro era, per quel solo fatto, pericoloso; perciò bisognava corromperlo e, se non si riusciva, allontanarlo. Innumeri sono le storie di questo o quel generale, o funzionario, che assunto con fama di probo ad un'alta carica nella capitale, dopo un anno o meno, cedeva alle tentazioni offertegli dal sultano sotto forma di una concessione, di un'impresa, di un konak tolto ad una persona in disgrazia. Dal momento in cui la corruzione era riuscita, l'uomo non si apparteneva più: entrava a far parte di quella vasta camarilla di favoriti e concessionari che si odiavano l'un l'altro, che cercavano di guadagnarsi i favorì del sultano con intrighi e delazioni e che, con alterne vicende di favore e di disgrazia, riunivano nelle loro mani tutta la gestione della cosa pubblica, con quanto danno per lo Stato non è ehi non veda. Il timore per sé e per la sua vita, che tanto dominava S.M.I., lo rendeva credulo verso chi se ne mostrava sollecito e gli additava pericoli e nemici; crudele nel punire anche per un semplice
I) Rapp. n. 67, pp. 22, r. 75, A.S.M.E., AM., pò. E.