Rassegna storica del Risorgimento

ADDETTI MILITARI ITALIANI GRECIA 1904-1908; ADDETTI MILITARI IT
anno <1974>   pagina <590>
immagine non disponibile

590 Antonello Folco Maurizio Biagini I
d'oltre frontiera; ma persisto nel credere che fu errore (o, se l'esigenza delle circostanze lo impose fu disavventura) l'aver fatto sparare da mussulmani e in­fedeli uniti contro mussulmani questi ultimi, che si batterono coprendo la loro ribellione con la bandiera dell'Islam, raccolgono il rimpianto della maggioranza della popolazione maomettana. Una battaglia di ottomani di diversa fede e di diverse razze contro un comune avversario avrebbe veramente avuto l'effetto di cementarne l'unione, come Weissemburg cementò l'unione dei popoli germanici. Qui ci vorrà molto tempo perché la massa mussulmana perdoni al nuovo regime di essersi appoggiato su bande di infedeli per debellare truppe del padiscià.
Altro avvenimento che non è stato accolto con quella unanimità di letizia che appare dalla maggioranza dei giornali, è stata la deposizione di Abd ul Hamid e, oltre al fatto in sé, le modalità di essa. Si ponga mente infatti che la deposi­zione non del sultano solo ma del califfo, del padre dei credenti fu votata da una assemblea costituita da quei membri della Camera e del Senato che non erano raggiti, molti dei quali erano cristiani o israeliti. Il fetva, cioè l'atto di de­posizione pronunciato dal capo spirituale della gerarchia sacerdotale o, per me­glio dire, dal sovrano interprete della legge sacra, lo Scek ul Islam, fu comuni­cato al sultano da una commissione parlamentare della quale facevano parte due mussulmani, un armeno e un israelita. Altra commissione mista significò a Reshad effendi il suo avvento al trono. Più grave e più potente violazione delle prescri­zioni islamiche non potrebbe esservi per conturbare le coscienze mussulmane.
Ora ricondotto l'ordine nella capitale, hanno cominciato a funzionare le commissioni marziali e ad eseguirsi i colpevoli. Soldati che si ribellarono ai superiori e uccisero tanti loro ufficiali meritano certamente la morte. Ma ciò non toglie che le impiccagioni eseguite in pubblico non abbiano sinistramente impres­sionato il popolo. H vedere dei mussulmani appesi per mano degli spregiati tzigani (poiché tra costoro si reclutarono gli improvvisati esecutori di giustizia), esposti al ludibrio degli sguardi di tanti infedeli, ferisce il sentimento maomet­tano. Se a ciò si aggiunge che molti fra i militari giustiziati morirono dicendo che solo loro scopo era la difesa dello Sheri che credevano minacciato, si vede quanto poco ci voglia a fare di questi ribelli dei martiri della fede. Qui sta il pericolo grave per una nazione: che avvenga una violenta scissione tra l'elemento turco, schierandosi una parte di esso sotto una bandiera sulla quale sia scritto sheriat e l'altra sotto un vessillo che porta impresso Progresso. E se quella parte dell'impero nella quale più intensa ed omogenea è la massa schiettamente mus­sulmana (cioè le province dell'Asia minore) innalza la prima di queste ban­diere e che, per metterla alla ragione, sì vogliano contro essa inviare le forze delle province d'Europa, si inizierà una era di sangue e di guerra civile dalla quale difficilmente la Turchia uscirà salva. Né occorre fare troppa fidanza sul lealismo costituzionale delle truppe rum elio te stesse che sono venute a Costan­tinopoli e che vi si trovano ancora. Da informazioni che ho ragione di ritenere buone, pare che vi sia del malconteto, che l'ufficio di repressori e di esecutori di giustizia poco garbi a questi battaglioni. Domenica mattina ci fu tra i soldati dell'Arsenale di Marina, un tentativo di ammutinamento in senso reazionario. Furono mandati a circondare la caserma un reggimento di fanteria, una batteria a tiro rapido, tre mitragliere e due squadroni di cavalleria: gli ammutinati si arresero subito e furono allontanati da Costantinopoli. Mi consta che, in tale cir­costanza, le truppe mandate per ricondurli all'obbedienza eseguirono il loro compito molto a malincuore. Non è certo se, ove avessero incontrato resistenza, avrebbero fatto fuoco tutte e senza esitare.