Rassegna storica del Risorgimento
CAMERANI SERGIO
anno
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1974
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pagina
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594
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594
Alberto M. Ghisalberti
Magari per dare, pince sans rire, qualche lezioncina a modo, come fece, nel 1956, in Risorgimento italiano e storiografia russa, a proposilo di una pubblica-zione di Carolina Misiano. Il suo volumetto mi ricorda certa stampa di epoca relativamente recente che si pubblicava ahimé in Italia. Era abitudine di certi scrittori di affermare che gli italiani avevano scoperto tutto, avevano capito tutto, fatto tutto, insegnato tutto. Era abitudine storpiare la storia, far diventare fascista chi, se fosse vissuto in quegli anni, sarebbe stato per lo meno relegato al confino; dir bene o male della politica di questa o quella nazione secondo gli ordini che venivano dall'alto, attribuire a uomini o movimenti, idee o aspetti che non avevano mai avuto. Era d'obbligo infine citare a proposito e a sproposito qualche immortale frase del Duce. La signora Misiano ricalca in pieno le orme della sorpassata storiografia fascista; muta soltanto alcune parole e aggettivi; la rivoluzione fascista è sostituita dalla rivoluzione proletaria; le quadrate legioni dalle masse, il Duce da Lenin. Stalin non c'è perché quando l'A. ha scritto il volume era già morto e non era più in odore di santità a>.
Italiano di buon vecchio stampo, solido, senza iattanze, senza pregiudizi, ma anche affrancato da ogni tentazione conformistica, Sergio non ripeteva lezioni imparate a memoria, ma giudicava secondo coscienza e con il suo cervello. Un tema che ha tormentato molti si è imposto più di una volta anche alla Sua meditazione, quello del diverso comportamento degli Italiani nelle due ultime guerre. Già all'indomani del Congresso di Trento del nostro Istituto, che aveva visto il drammatico riaccendersi di una antica polemica tra i neutralisti e gli interventisti di un lontano ieri, egli aveva affrontato il tema (L'Italia nella prima guerra mondiale, 1964) : Se il tradizionale sentimento anti-tedesco spiega la reazione intervenuta dopo Caporetto, spiega anche perché vent'anni fa nell'ultima guerra non successe altrettanto. Allora non esisteva un comune denominatore anti-inglese, o anti-americano, ma persisteva, piuttosto, rinforzato dai recenti avvenimenti, quello anti-tedesco. Così la resistenza contro gli alleati fu fiacca, non sentita, mentre, quando la situazione si capovolse la stragrande maggioranza si schierò unanime contro la Germania .
In fondo, tornava a risonare l'eco lontana del risorgimentale: non vo-gliam Tedeschi. Sul tema Sergio insisterà ancora quasi dieci anni dopo nell'ultimo articolo scritto per la Rassegna storica toscana, la rivista alla quale aveva dato vita e spirito (Testimonianze sulla seconda guerra mondiale, 1973), in una rassegna del Convegno anglo-italiano che si era tenuto a Bagni di Lucca. Un ritorno che gli consentiva anche di dare una garbata lezione di metodo storico a chi trattava un po' sottogamba la degna matrona alla quale dianzi si è accennato. Non è, forse, inutile ricordarla. Al banco dei relatori era salito per primo il noto storico Denis Mack Smith per parlare de '* L'Inghilterra vista dagli Italiani: comprensioni e incomprensioni degli anni Trenta". Se devo essere sincero di comprensioni ne ho sentite poche assai. Mack Smith ha posto l'accento sulla campagna anglofoba scatenata da Mussolini dopo il 1935, ma s'è rifatto a certe fonti che santo cielo! non godevano nessun credito neppure in Italia: Gerarchia, La difesa della razza, gli articoli di Giovanni Preziosi. Quella non era l'Inghilterra vista dagli Italiani, ma dalla propaganda ufficiale fascista; una faccenda molto diversa. Lo storico inglese in quegli anni non si trovava in Italia e non poteva sapere come stavano davvero le cose: si cercava, è vero, di diffondere un monte di balordaggini contro gli Inglesi (il popolo dei cinque pasti, altezzoso, egoista, ottuso e via dicendo), ma la gente non vi badava più che tanto, intuiva che erano frottole. Chi poi conosceva gli