Rassegna storica del Risorgimento

ITALIA POLITICA INTERNA 1865-1867; MENABREA DI VAL DORA LUIGI F
anno <1975>   pagina <24>
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Luciana Duranti
Terminata l'esposizione dell'interpellanza si venne a discutere della politica governativa nel suo insieme e sulla responsabilità del passato e del presente governo, senza che nessun ministro si alzasse a sostenere con vigore la necessità e la giustìzia degli atti compiuti, finché il 13 dicembre il guardasigilli Mari prese la parola sorvolando tuttavia sulla responsabilità morale del governo, che aveva creato le condizioni di un intervento illegale, essendo per di più favo­revole la situazione di fatto derivata dalla Convenzione di settembre : Si pensi a consolidare il regno; si restaurino le finanze; si regolino meglio le pubbliche amministrazioni; e quello che a me più importa, si mostri col fatto che la libertà non è nemica dell'ordine, né della prosperità del paese; e allora ci troveremo vicini a Roma meglio che far non sia dato colle vostre imprese guerresche. Allora quelle popolazioni, soggette sempre al governo pontificio, Si sentiranno attratte da un governo bene ordinato, meglio che dai moti incom­posti e dalla incerta bandiera dei privati invasori .20* Era sempre lo stesso argomento, già sostenuto da Menabrea e da tutti i moderati, incapaci di scari­carsi di dosso quella pesante e grave eredità che avevano avuto da Cavour; e l'ampiezza dell'eloquenza del guardasigilli non riuscì a farlo apparire nuovo, specie agli occhi della Sinistra, il cui punto di forza più evidente era, argo­mento anch'esso sfruttatissimo, mettere sotto accusa la Convenzione di set­tembre. E nei successivi discorsi si venne scoprendo come la discussione fosse giunta a un punto di rottura, come le sue conclusioni fossero sentenza di vita o di morte per il ministero, come fosse troppo poco quel che questo aveva fatto per coprire ciò che aveva trascurato di fare e la sua sorte fosse, quindi, affidata all'eloquenza degli oratori e al favore del momento in cui questi si fossero levati a parlare. Per questo, il 18 dicembre, Menabrea chiese alla Camera la condanna o l'approvazione, rifiutando l'assoluzione e il giorno 21, su ordine del giorno Bonfadini, il Governo cadde per 201 voti contrari, di fronte a 199 favorevoli. Il primo ministero Menabrea era stato battuto da una maggioranza non omogenea: alcuni si astennero, altri passarono all'opposizione per non acclamare Roma capitale d'Italia e perché non volevano si ritornasse sul pas­sato. Il terzo partito diretto ora da Mordini, che con Depretis aveva condan­nato severamente la politica del gabinetto Rattazzi, votò con Rattazzi e con la Sinistra. Si può solo concludere che non fu vittoria di un principio, ma vit­toria del numero; mancando ogni indicazione da parte della Camera, era pre­vedibile che Vittorio Emanuele avrebbe affidato l'incarico nuovamente a Me­nabrea. Infatti gli uomini della maggioranza che aveva battuto il Governo, Crispi e Rattazzi, avevano probabilmente intenzione di prendere il potere, ma man­cavano di una base parlamentare abbastanza forte per sostenersi, anche perché l'estrema Sinistra, alla cui testa era Bertani, fece capire che non avrebbe mai dato il proprio voto all'uomo di Aspromonte. Anche nel campo della Destra c'erano dissensi e sospetti e, quindi, i ministri sconfitti, non ritenendo oppor­tuno sciogliere la Camera, incaricarono Broglio di notificare in una relazione al Re l'esiguità della maggioranza e la sua formazione fittizia di fronte ai com­patti voti filogovernativi. Ma Vittorio Emanuele, prima di accettare questo punto di vista, volle fare un ulteriore tentativo presso l'opposizione, per creare una maggioranza stabile: chiamò a Firenze il capo della Permanente, Ponza
20) Ibidem, p. 3105.
21) il. BONGHI, Nove anni di Storia d'Europa nel commento di un italiano (1866-,74)ì voi. I, Firenze, 1928, p. 367.