Rassegna storica del Risorgimento

ITALIA POLITICA INTERNA 1865-1867; MENABREA DI VAL DORA LUIGI F
anno <1975>   pagina <30>
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Luciana Duranti
fittane in etri il ministero si trovò impegnato fu il riproporsi in termini urgenti dei rapporti con la Chiesa, in seguito alla decapitazione di Monti e Tognetti. La Camera, dopo la dichiaratone di Menabrea di aver fatto tutto quanto era nelle sue facoltà, per lasciare la via aperta alle trattative con la Francia, anche in vista del prossimo concilio, e per non pregiudicare ulteriormente la situa­zione, votò un ordine del giorno estremamente evasivo, che scatenò contro il Governo l'opinione pubblica di entrambe le parti. Ma l'attività legislativa con­tinuò indisturbata, anche se con un atto certo dei meno felici: il 30 novembre fu proposta e approvata una legge che concedeva i diritti civili e politici agli Italiani delle provinole non ancora comprese nel Regno. Il biasimo fu generale in quanto la legge non esprimeva nessun concetto preciso e doveva necessaria­mente rimanere senza effetto, presupponendo la cittadinanza come cosa di diritto e regolando quindi l'esercizio del diritto elettorale; rimaneva inoltre dubbio fin dove si estendesse la nazionalità e, quindi, lasciava aperti molti interrogativi. Era dunque anche questa un'azione poco conseguente e contribuì a minare il terreno sotto i piedi al ministero, come se non fossero bastate l'azione demolitrice AeìVAlleanza Repubblicana di Mazzini e quella molto più profonda della tassa sul macinato, che cominciava a mostrare le previste con­seguenze. La tassa entrava in vigore il 1 gennaio 1869, ma già negli ultimi giorni di dicembre c'era stata qualche avvisaglia di imminenti agitazioni. I mugnai, insoddisfatti del sistema macchinoso di riscossione e timorosi di dive­nire odiosi alla popolazione nella nuova veste di esattori, erano poco disposti a pagare la tassa soprattutto perché, nel secondo semestre del 1868, i contadini, prevedendola, avevano macinato tutto il loro grano e quindi nei primi mesi ci sarebbero stati così pochi clienti che, col ricavato del lavoro, non sarebbe stato possibile neppure rifarsi delle spese. Perciò, desiderando che si svilup­passe nella popolazione un movimento di resistenza alla tassa, col 1 dell'anno i mugnai del settentrione decisero di chiudere i mulini: fu un vero e proprio sciopero dei mugnai. Questa chiusura fu la causa occasionale dei moti del maci­nato che scoppiarono in quasi tutta l'Italia, ma che solo nell'Emilia assunsero un carattere allarmante di rivolta. Nella settimana precedente la chiusura dei mulini il Governo aveva incaricato i prefetti di tastare gli umori delle popola­zioni, ma questi avevano escluso la possibilità di gravi violenze prevedendo solo empiici dimostrazioni.43) Invece i tumulti assunsero un carattere di allar­mante gravità diffondendosi nel Bolognese, nel Parmense, nel Reggiano fino a toccare la Toscana. In molli luoghi la Guardia Nazionale non fece il proprio dovere: o si lasciò disarmare senza resistenza o si schierò dalla parte dei con­tadini. Il 5 gennaio, vista l'impossibilità di dominare altrimenti la situazione, il Governo decise di ricorrere a misure straordinarie: con decreto reale il gene­rale Raffaele Cadorna, comandante interinale delle truppe attive stanziate nel centro Italia, fu incaricato di ristabilire l'ordine e la tranquillità pubblica nelle Provincie di Bologna, Parma e Reggio, fornito dei poteri di prendere quei provvedimenti che ritenesse necessari, con l'impiego di ingenti forze militari. Parlando di stato d'assedio i giornali democratici attaccarono il Governo che non aveva preparato in tempo i contatori meccanici previsti dalla legge e aveva esasperato le popolazioni stabilendo metodi empirici e arbitrari per
*3) F. MANZOTTI, La rivolta del macinato (1869), in Rassegna storica del Risorgi-mente, a. XLIII (1956), pp. 59-86.