Rassegna storica del Risorgimento

ITALIA STORIA COSTITUZIONALE 1849-1948
anno <1975>   pagina <484>
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POSTILLA AD UNA RECENSIONE
Lieto e talvolta anche fiero per aver aperto il dibattito storiografico sulle vicende delle istituzioni pubbliche italiane dall'Antico Regime alla Repubblica con un'attività orinai più che ventennale di studio e di ricerca, ho sempre evi­tato polemiche accese ed espressioni di palese dissenso con coloro i quali soste­nevano tesi difformi dalle mie o, come si usa tra studiosi seri ed onesti, critica­vano le mie opinioni e le mie idee. Questo mio atteggiamento nasceva dalla con­sapevolezza che il confronto, talvolta fondato sull'incontro, talora sullo scontro, rappresenta un elemento essenziale al progresso delle nostre conoscenze in un settore sino ad un ventennio fa trascurato dalla storiografia politica ed ignorato addirittura, come sottolineò incisivamente Arturo Carlo Jemolo, da quella giuri­dica, incapace di varcare le colonne d'Ercole rappresentate sul piano cronologico dalla data della scoperta dell'America.
Ora, invece, duramente attaccato per la mia Storia costituzionale d'Italia (1849-1948) edita un anno fa per i tipi dell'amico Laterza, sono costretto a repli­care abbandonando un atteggiamento che pure mi era abituale e caro. Preciso subito che questa mia Postilla non è diretta tanto a certi contenuti di una recen­sione comparsa su Italia contemporanea (a. XXVI, aprile-giugno 1975, n. 119) che possono, nonostante la gratuità delle affermazioni della loro autrice, Isabella Zanni Rosiello, essere pacatamente discussi e ribattuti, quanto, invece, al modo e al tono usati, raramente di moda tra studiosi abituati al sereno distacco della scienza.
Lo Zanni Rosiello, infatti, con una irruenza ed una veemenza che traggono la loro origine solo da preconcetti di ordine politico muove all'attacco del libro, accusando praticamente l'autore di non avere le idee sulla storia costituzionale italiana che ella ha e che, evidentemente, ritiene le uniche vere ed esatte. Dogma­tismo ideologico, quindi, e perché no, dato il conformismo sciatto e piatto della cultura storica d'accatto di cui si nutre, fideismo nei confronti della verità rite­nuta tale e professata troppo spesso acriticamente da molti nell'attesa quasi mes­sianica di un mondo nuovo destinato a sorgere sulle rovine di un passato ora vili­peso, ora contestato, ora, addirittura, odiato.
Ma vilipendio e rancorosa contestazione, tanto comuni ormai a quella parte della nostra storiografia che nel passato da rinnegare cerca solo pretesti per le sue visioni escatologiche e millenariste, non sono mai serviti a fare la storia, né pos­sono ora servire a fare quella costituzionale o, se preferiamo, quella delle istitu­zioni pubbliche.
II passato va soprattutto compreso e, se necessario, giustificato, non accusato e condannato aprioristicamente, I suoi uomini vanno studiati per i loro senti­menti, le loro passioni, le loro idee, e, quindi, valutati e capiti nel contesto del mondo ideale che ne vide l'operato: non possono essere resi responsabili di ciò che ai loro tempi non era né concepibile, né attuabile, né, pertanto, giustificabile. E le istituzioni da essi create e che per la loro attività funzionarono e si svilup­parono secondo un certo ritmo vitale, vanno giudicate in quel contesto storico e non alla stregua del modo di pensare dei loro critici postumi, desiderosi solo di mostrare le contraddizioni di un passato da respingere, gli errori e i limiti di un'epoca non già in relazione alla sensibilità dei contemporanei che la vissero