Rassegna storica del Risorgimento
MUSEO DEL RISORGIMENTO DI MANTOVA
anno
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1975
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pagina
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503
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Libri e periodici 503
meo del Banco, anche qui, peraltro, inibattendosi subito in una figura notevolissima di uomo politico dei tempi nuovi, realista e costruttivo ben al di là di certe declamazioni giu-nsdizionalistiche fine a se stesse, come il Fraggianni, a cui non a caso di recente Ruggero Moscati ha fatto dedicare ottimi ed opportuni contributi particolari.
Nell'ambito della metodologia cara al Demarco, tuttavia, questi spunti politici e questi accenni culturali che abbiamo sommarissimamente delineato non vengono affatto colti e sviluppati dall'A., il cui discorso è rigorosamente tecnico e qua e là tecnicistico, sicché non se ne può dar conto se non in quest'ambito programmaticamente prefisso alla ricerca.
H fondamento di quest'ultima è costituito dall'esame delle scritture contabili, dopo che un'adeguata introduzione ba confermato nell'emissione di fedi di credito e di prestiti su pegno le due principali operazioni finanziarie del Banco, ovviamente non distinguibili per finalità da quelle di un puro e semplice Monte di Pietà.
Esaminate le scritture contabili, delle quali in appendice si fornisce un'amplissima documentazione, l'A. passa all'esposizione storica del suo argomento, sempre suggerendo temi di grande interesse (i rapporti tra il Fraggianni, ad esempio, ed il segretario d'azienda Leopoldo De Gregorio, il cui figlio Emanuele sarebbe stato tra i più autorevoli cardinali del primo Ottocento) ma soprattutto soffermandosi su quello dei finanziamenti alla Corte che, a partire dalla guerra di successione austriaca, costituiscono l'attività principale del Banco ed il presupposto della sua totale catastrofe, non senza larghissimi sconfinamenti nel campo della nobiltà, sia per pagamento di debiti sia per costituzione di doti (ma quei 186 mila ducati di credito, nel dicembre 1767, del principe di San Nicandro, che non è un personaggio qualsiasi, avrebbero pur meritato un cenno particolare!).
L'ultimo decennio del Settecento rappresenta naturalmente l'ora della verità non soltanto per il Banco della Pietà, ma per tutta la società napoletana, quella disputa del luglio 1796, ad esempio, tra il Galanti ed il Simonetti circa la convenienza d'imposte temporanee da sostituire all'incessante e screditante prelevamento dai banchi.
Questo prosegue, peraltro, appunto senza interruzione, e fino ad attingere una somma complessiva di sedici milioni di ducati nel dicembre 1798, all'atto della prima fuga di Ferdinando IV, somma nella quale per oltre un quarto è coinvolto precisamente il Banco della Pietà.
La svalutazione delle bancali al 70 e quindi l'incetta del numerario ed il discredito della fede pubblica stanno a rappresentare il principale problema finanziario degli anni successivi, giacobini o sanfedisti siano al potere, fino a travolgere gli energici propositi accentratori di Zurlo e ad imporre col Medici una fase prudente di ripensamento che la conquista napoleonica avrebbe peraltro indirizzato e risolto su direttive ben note.
RAFFAELE COLAPIETRA
MICHELE MIELE, Ricerche sulla soppressione dei religiosi nel regno di Napoli (1806-1815), estratto da Compagnia Sacra, anno IV (1973); Napoli, D'Auria editore, 1973, in 8, pp. 144. S. p.
La soppressione delle corporazioni religiose attuata durante il Decennio francese ebbe un'influenza notevole sulla vita del Mezzogiorno per il numero dei conventi aboliti, per la massa dei beni incamerati e venduti dallo Stato, per le reazioni dell'opinione pubblica ai provvedimenti. Sugli aspetti più importanti dell'operazione, sviluppatasi nel corso degli anni con misure di diversa portata che colpirono variamente gli ordini possidenti e quelli non possidenti, i conventi femminili, abbiamo fondamentali studi d'insieme, come quello del Villani (La vendita dei beni dello Stato nel regno di Napoli, Milano, 1964), né mancano ricerche di ambito regionale largamente documentate (U. CALDORA, Calabria Napoleonica, Napoli, 1960; G. CUOMO, Le leggi eversive del secolo XIX e le vicende degli ordini religiosi della provincia di Principato Citeriore, Mercato S. Severino, 1971 sgg.).
Tuttavia si è ancora lontani da risultati definitivi. Basti pensare che non è accertato fl numero preciso dei conventi soppressi, la loro distribuzione per province, l'entità del patrimonio incamerato, la parte di esso rimasta invenduta, il numero dei religiosi secolari*