Rassegna storica del Risorgimento

MUSEO DEL RISORGIMENTO DI MANTOVA
anno <1975>   pagina <506>
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Libri e periodici
sta rivelazione, non avremo più un Ottocento romagnolo paludato, al quale ci avevano abituato gli studiosi risorgimentali, ma la Romagna più vera, quella reale dei braccianti e dei mezzadri, troppo spesso costretti a divenir banditi per salvarsi o semplicemente por sopravvivere ! ?
Questi studiosi o storici della Romagna risorgimentale paludata di cui non per mala fede, ma per ignoranza , non avevamo notizia, erano senza dubbio (e lo diciamo per doverosa ammenda) o sono in combutta coi fornitori degli ampi e ricchi mantelli di cui facevano uso i biechi generali romani, nonché di stilistici ornamenti con le verghe a fascietto, e di altri consimili paludamenti tuttora fabbricati sotto l'egida della Confin-dustria.
Ignoranza imperdonabile è la nostra: ignoranza di storici impaludati!
D'ora innanzi i veri studiosi della vera storia terranno conto della cronaca dei nostri quotidiani all'uopo qualificati, dove non si può e non si deve trovare alcun accenno sul brigantaggio di braccianti che, vedendosi negato persino un bicchiere d'acqua che, dice il proverbio, non si nega a nessuno, sono costretti a succhiare sangue con pugnali e tromboni da recipienti che non sono mammelle. Felici cronache di oggi, e più felici quelle che si preparano, dove non si trova e non si troverà, nemmeno a pagarla a peso d'oro, notìzia di assassinio, di stupro, di sevizia, di scassinamento, di rapimenti (che non sono in estasi ), di ricatti terribili, di massacri in massa, di galere piene dove si regolano conti, e di uomini e donne e bambini costretti alla fuga per difetto di obbedienza al legittimo governo. Tutte miserie che esistevano ai tempi dei cardinali e relativo corteo di governatori, di marchesi, e conti, e così via.
La storia del nuovo risorgimento non impaludata farà tesoro di altre notizie di cro­naca; per esempio degli incontri di tortorelle le quali becco a becco si bacino, emet­tendo flebili lamenti per consolazione loro e nostra.
Naturalmente si fa per dire; ossia un po' per celia, e un po' per non morire .
PIERO ZAMA
ALESSANDRO DUMAS, Impressioni di un viaggio in Calabria {Il capitano Arena), a cura di GUSTAVO VALENTE; Reggio Calabria, Parallelo 38, 1974, in 8, pp. 171. S.p.
In una traduzione agilissima e brillante, forse qua e là non meno disinvolta di quanto sia l'immaginazione dell'A. nel descrivere le ultime ore di Gioacchino Murat o le avven­ture diaboliche del catanzarese mastro Terenzio o gli sconvolgimenti apocalittici del terre­moto del 1783 o le brutture raccapriccianti degli abituri di Maida (e con ciò abbiamo accen­nato i principali centri d'interesse artistico dell'operetta) leggiamo uno degli innumerevoli lavori minori del Dumas, composto nell'autunno 1835, al termine del quinquennio rifor­mistico ferdinandeo, che comunque in Calabria sembra esser passato senza la minima traccia.
Da quel che s'è detto, e da ciò che si sa dell'A., è facile dedurre che cosa si possa tro­vare, dal punto di vista storico, in questo volume, e che cosa sia del tutto inutile ricercarvi.
Certo, questa Cosenza spopolata dal terremoto, queste processioni di flagellanti, questi ritrattini di gentiluomini, hanno una loro verità sconsolata e graffiente, ma i colori e gli ardori del mito si confondono troppo con le distaccate note di viaggio per consentirci di tracciare un bilancio vero e proprio.
Un'interpretazione, insomma, più che una descrizione della Calabria, e come tale gron­dante di quél romanticismo macchiettistico e paesaggistico che ha ritardato di decenni l'esatta comprensione critica della questione meridionale, e che oggi può leggersi soltanto in chiave psicologica e letteraria, non priva qua e là di qualche illuminazione sociale da sfruttare con prudenza.
RAFFAELE COLAFIETRA