Rassegna storica del Risorgimento
MUSEO DEL RISORGIMENTO DI MANTOVA
anno
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1975
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pagina
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511
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Libri e periodici 511
creare un nuovo sistema di equilibri, soprattutto in funzione di un accordo con la Francia di Napoleone HI, e quella austriaca, statica, conservatrice, interessata ad un congelamento della situazione europea sulle posizioni degli ultimi quaran t'armi: tra il '53 e il '56 Londra e Vienna parlano due linguaggi non solo diversi, ma antitetici. È su questo punto che Schroeder dimostra che la sua logica di storico è quella della Vienna metternichiana di un secolo e mezzo fa: egli contrappone un'Inghilterra sollecita unicamente del proprio particolare, e perciò bellicista ad oltranza, ad un'Austria che nobilmente, disinteressa ta-mente, si da da fare per separare i contendenti e predicar pace; e non si rende conto che in questo momento la pace non è un ideale di fondo, ma rappresenta invece, come unica strada praticabile, il particolare dell'Austria, con Buoi che ripropone, pur se partendo da premesse filooccidentali, il dogma della validità di una impostazione viennese della politica europea. Schroeder può benissimo meravigliarsi del fatto che Palmerston a like many other Englishmen, believed Austria had no right to be in Italy at ali (p. 8) fino magari a credere che a anyone who thought otherwise should keep silent (p. 388); è libero anche di ritenere valida l'accusa che i conservatori inglesi rivolgevano a Palmerston e a Clarendon quando facevano notare che lheir activity in Italy was designed to cover up their failure to produce results during the war and at the congress (p. 385), così come può sostenere che le varie questioni nazionali sono un'arma che gli statisti britannici tengono continua-mente puntata sull'Austria per non darle respiro. Sta di fatto comunque che tra un paese, l'Inghilterra, che si apre al futuro non restando insensibile a tutti i fermenti che si agitano sulla scena europea, e un altro, l'Austria, che vuole mantenere tutto immutato come se il '48 non avesse detto niente di nuovo, è facile capire chi è destinato a soccombere: ignorare, come fa Schroeder, tutto il processo di graduale sovvertimento degli accordi di Vienna del '15, indicare nell'alleanza austro-inglese la migliore garanzia per la futura pace europea, affermare tout court che la Austrian leadership, as long as it lasted, preserved order in Germany and Italy (p. 403), e infine auspicare, sempre in nome di una superiore pace europea, assurdità del tipo della e organization of Germany and Italy into an indipendent center for Europe under Austrian hegemony (p. 406), tutto ciò difficilmente può costituire un buon presupposto per la comprensione della storia del vecchio continente nel secolo scorso.
Ma oltre alla tesi principale in se stessa, sono tante le cose che non vanno in questo lavoro, che, tra l'altro, segue rigidamente il binario della tradizionale storia diplomatica senza dare il minimo spazio alla situazione interna dei vari paesi, non credendo l'A. che analyzing foreign policy in terms of the determinants of decisions is the most important or satisfactory way of understanding what happens in International relations and why (p. XIV). Il fatto è che Schroeder è troppo impegnato a dimostrare l'ipocrisia e la malvagità degli uomini di Stato britannici: esemplare in questo senso appare la parabola di Lord Russell che, donchisciotte fino a quando vuole presentarsi come il paladino dell'indipendenza italiana e polacca, rinsavisce improvvisamente quando nel marzo del '55, in missione a Vienna per la conferenza di pace, comincia a condividere il punto di vista austriaco Russell had turned statesman , gli concede in quell'occasione Schroeder (p. 249) per ripiombare senza speranza nella follia allorché, di ritorno a Londra, si riprende completamente from his attack of caution at Vienna (p. 340). Il metro per misurare le qualità dei governanti inglesi è dunque dato per Schroeder dalla loro capacità di accettare o meno le ragioni della cancelleria viennese.
Con il suo osservare da vicino il tormentato rapporto anglo-austriaco Schroeder finisce per trascurare la presenza fortemente condizionante della Francia che egli relega troppo sbrigativamente al ruolo di subalterna dell'Inghilterra: quanto sia errata questa convinzione lo testimonia il congresso di Parigi col quale Napoleone III, indubbiamente il più contrario all'assetto del *15, trae i maggiori vantaggi dalla comune vittoria e, con l'inopinata apertura allo zar, vanifica in parte il risultato della guerra. Nella ricostruzione di Schroeder Invece la Francia appare come uno dei tanti manichini ohe Londra manovra in funzione antiaustriaca; e gli stessi rapporti diplomatici con la Russia, principale termine della contesa, interessano allo storico americano molto meno di quanto sarebbe auspicabile.
I difetti di impostazione hanno un loro corollario in certe conclusioni a cui Schroeder giunge e che non possono non lasciare perplessi: se si vuole sapere perché gli Inglesi non