Rassegna storica del Risorgimento

MUSEO DEL RISORGIMENTO DI MANTOVA
anno <1975>   pagina <512>
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Libri e periodici
vogliono sentir parlare di pace, la risposta è sin troppo semplice: e They wanted to con­tinue the war becausc they wanted to continue the war (p. 282); se poi si vuole arri­vare a capire cosa si ripromettessero gli Inglesi dalla guerra, le due ragioni fornite a p. 413 et British honor and prestige sono lungi dal soddisfare tralasciando altri due scopi ben più sostanziosi, come l'accordo con la Francia e il blocco dell'avanzata russa verso il Mediterraneo. Più di una volta, a spiegare il successo della politica inglese, è chiamata in causa la fortuna the usuai British luck di p. 398 o quella personale di Palmerston di p. 413 j cosi come per giustificare la sconfitta di Buoi si fa appello alla misfor-tune (p. 5) o alla ce lack of skill and luck (p. 7): Schroeder, per la verità, si spinge sempre, a suo modo, in profondità quando si tratta di ricercare le cause degli avvenimenti, ma di solito, quando si ricorre anche a fattori quali il caso, la fortuna, il tradimento, è segno che il rimpianto che lo storico ha per il modo con cui sono andate le cose lo induce a dare importanza a spiegazioni che trascendono l'opera dell'uomo e ne attenuano quindi le responsabilità o i meriti. Schroeder non si nasconde i limiti della politica di Buoi ma, guarda caso, considera criticamente non il suo atteggiamento verso l'Inghilterra (che ma­gari poteva dolersi di quella sua ostinazione a restare neutrale e che, sulla base di quanto era accaduto prima del '48, poteva a ragione temere che la simpatia austriaca per la Russia finisse per portare ad una soluzione di compromesso, la sola che non le potesse andare bene), ma quello assunto nei confronti della Prussia e degli altri Stati germanici a propo­sito dei quali afferma che e The accusation of betrayal and treachery so often hurled at Austria have some substance or at least an understable basis... (p. 393).
Come succede sovente nei lavori che si propongono una revisione del giudizio storico su un determinato fenomeno, anche questo di Schroeder non resiste alla tentazione di get­tare un ponte verso il futuro e di scoprire conseguenze di imprevedibile vastità come frutto dell'incapacità e della malafede degli statisti inglesi. La distruzione del concerto europeo a proposito: Schroeder ne dà per scontata l'esistenza alle soglie del '54, io ne sono molto meno sicuro; quel che è certo è che se pure esso era ancora in vita, non aveva nessuna possibilità di funzionare per l'opposta interpretazione che dopo il '48 ne davano le Potenze che ne facevano parte la distruzione del concerto europeo, dicevo, e il tramonto dell'Austria, che ne costituiva il perno, aprono a giudizio di Schroeder la via ad una serie di mutamenti al cui termine c'è un nuovo sistema di Stati in cui, però, la funzione che un tempo era stata dell'Austria è assunta dalla Germania, a formidable semiautocratic military monarchy dominating centrai Europe and capable of menacing the West as well (p. 425), quasi ad illustrare il vecchio detto che vuole che il diavolo faccia le pentole ma non i coperchi. La tappa successiva alla guerra di Crimea è il compimento dell'unificazione italiana e di quella tedesca: ma, a parte l'arbitrario accostamento di Cavour a Bismarck e senza tener conto del fatto che la loro opera è messa sullo stesso piano, è difficile vedere negli orientamenti inglesi degli anni '50 l'agente catalizzatore di due movimenti che ave­vano tutti i requisiti per esprimersi autonomamente, tanto più che quello italiano giungerà semmai in porto fruendo dell'appoggio francese. Ma lo studio e l'apprezzamento dell'azione rivoluzionaria e della capacità di iniziativa che i popoli possono avere indipendentemente dalla volontà delle grandi Potenze non sono uno dei maggiori meriti dello studioso ame­ricano.
Resta da dire qualcosa sui criteri sui quali questo lavoro è tecnicamente impostato: trattandosi di un volume di storia diplomatica è evidente che a predominare siano le fonti che fanno capo ai ministri degli Esteri e ai loro rappresentanti presso le corti straniere; lo spirito del volume fa sì che le diplomazie più studiate siano l'inglese e l'austriaca, e bi­sogna riconoscere che Schroeder ha una grande padronanza del materiale, in massima parte inedito, di cui si serve per comporre il suo quadro per il quale utilizza soprattutto le carte Palmerston ed il fondo Clarendon della Bodleìan Library di Oxford, cui vanno affiancati i documenti provenienti dal Public Record Office e dall'IImis-Hof-und Staatsarchiv. Solo di rado tuttavia Schroeder riporta brani dei documenti cui fa ricorso, e perciò non sempre si è in grado di controllare sugli originali le deduzioni che dalla lettura egli ne trae; qua e là è possibile notare poi una certa diversità di trattamento, in quanto, mentre non mancano lunghe citazioni di Buoi (pp. 105-106, 290-291, 304-305), lo stesso onore non è riservato alla prosa di Clarendon e di Palmerston di cui sono citate brevi frasi che bisognerebbe poter