Rassegna storica del Risorgimento
CAPUTO NICOLA; LECCE (DIOCESI) STORIA SEC. XVIIII-XIX
anno
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1976
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31
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Nicola Caputo tra religione e politica 31
dopo circa un quarantennio di episcopato, a lasciare Lecce per recarsi a Capua dove Ferdinando II lo aveva fatto chiamare, gli stessi contemporanei e la successiva letteratura che s'impadronì del fatto, non poterono che pensare a richiami e rimproveri che il sovrano intendeva rivolgere al vecchio vescovo. Anzi, proprio reta avanzata (82 anni al momento del viaggio) e la precarietà della salute costituivano un ottimo alone per idealizzarlo come martire della reazionaria politica ferdinandea. E questa volta il nome del Caputo valicò i confini del Regno e fu oggetto di attenzione dell'opinione pubblica nazionale: Antonio Scialoja, esule a Torino, mentre nel 1857 pubblicava le sue Note e confronti dei bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi, concludendo circa l'atteggiamento conservatore della gerarchia ecclasiastìca meridionale, a proposito del viaggio a Napoli di mons. Caputo osservava: Scrivendo queste parole, mi corre alla mente il nome di un personaggio ch'io non conosco, ma che fuori e dentro il Regno ho cento volte udito ricordare con riconoscenza e con affetto: il nome di mons. Caputo, vescovo di Lecce. Questo vecchio venerando non è stato neppur lui esente da violenze politiche...; fu tratto come prigione tra gendarmi da Lecce a Napoli e condotto al cospetto del principe... La fronte serena e solcata dagli anni, il viso aperto, l'aspetto umile d un tempo ed imponente dell'onesto uomo oltraggiato, e quella purità di coscienza che rende sicura la voce e calmo e pacato lo stesso sdegno dell'anima, dicesi, che gli facesse cadere a' piedi chi pretendeva giudicarlo. Fossero meno rari i vescovi come il Caputo .102) Alcuni decenni dopo Raffaele De Cesare, in quanto esponente di una storiografìa che superava i limiti dell'erudizione locale, riprendendo e facendo propria la versione dello Scialoja, consacrò il mito del Caputo. Ed è una svista in cui sono incorse anche più recenti pubblicazioni.103)
In realtà, come abbiamo avuto modo di dimostrare ampiamente in un nostro precedente lavoro, il fatto aveva avuto un'origine ben diversa. Già nel 1855, in seguito ad una richiesta del segretario di Stato Anto nel li, era stata promossa dal nunzio a Napoli un'inchiesta sul conto del Caputo e Pio IX, che probabilmente incominciava a pensare a un rinnovamento dei quadri dell'episcopato, aveva
W2) TI brano è preso da R. DE CESARE, op. cit., p. 187. Il De Cesare, a sua volta, continua: a Queste lodi irritarono in sommo grado Ferdinando II, e l'ottantenne vescovo fu obbligato a scrivere o a sottoscrivere questa inverosimile lettera a Mons. Salzano: ** Monsignor don Vincenzo Lotti mi onorò de1 vostri saluti, e mi disse che mendacio sul mio conto in Piemonte erasi scritto. Ne sono oltremodo addolorato: è un vilipendio per me essere sulle labbra di chi si parla sbrigliatamente, e voglio che questa mia indignazione sia solenne. Nulla ho di comune con un uomo senza verecondia. Sia pure a me da Voi compartito questo favore; la mia canizie invoca la verità che l'orni e la coroni, non il mendacio. E poteva per me darsi nel giugno e luglio 1856 un sovrano più caro di Ferdinando II, anzi, di vero amico? Si, il mio Padrone e Re in quella mia avventura fece con me quel che il vero amico sappia fare. Sono, monsignor mio, commosso a tante nequizie impudenti colà in Piemonte n. Com'era da prevedere, il Salzano si servì di questa lettera, pubblicandola trionfalmente nella confutazione ch'egli fece dello Scialoja, ma i maligni asserirono che la lettera l'avesse scrìtta egli stesso, e mandata a firmare al Caputo, non in grado per l'età di opporre resistenza. Il Salzano n'era capace (R. DE CESARE, op. cìt., pp. 187-188).
103) a Non fa risparmiato alcuno [nella reazione seguita ai moti del '49]: non valsero neppure le doti di carità, l'affetto reverente dei suoi diocesani e gli ottantadue anni e i molti acciacchi del vescovo di Lecce, mons. Caputo, a preservarlo dal doloroso e umiliante viaggio alla Corte... (P. F. PALUMBO, Terra d'Otranto nel Risorgimento, in AA.VV., Contributi cit., p. 60).