Rassegna storica del Risorgimento
MUSEO DI CAPRERA
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1976
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Libri e periodici
GIORGIO ASPRONI, Diario politico 1855-1876 (Collectanea Caralitana, n. 4/1); profilo biografico a cura di BRUNO JOSTO ANEDDA, introduzioni e note di CARLINO SOLE e TITO ORRÙ. Voi. I: 1855-1857; Milano, Giuffrè, 1974, in 8, pp. 691. L. 12.000.
Non è difficile prevedere sin da ora che, in ossequio alla ferrea legge per cui chi ha lasciato scritti e documenti sulla propria attività politica sia dagli storici preferito rispetto a chi è stato avaro di testimonianze o non ha avuto la fortuna di farle giungere sino ai posteri, Giorgio Asproni, il democratico sardo approdato alla politica dopo il naufragio della vocazione religiosa, diventerà uno dei protagonisti delle future ricostruzioni delle fasi cruciali del Risorgimento. Con quale merito, cercheremo di stabilirlo appresso; ma certo che un uomo che tutti i giorni, per ventuno anni anni decisivi: dal 1855 al 1876 , ha avuto la costanza di affidare alle pagine di una lunga serie di quadernetti le impressioni e le reazioni sue e dei suoi compagni di una lotta politica che lo ha visto spesso impegnato in prima persona e sempre, in veste di comprimario, a fianco di personaggi che storicamente sono di primo piano, un uomo del genere, dicevo, può a buon diritto pretendere che a cent'anni di distanza la sua voce non rimanga inascoltata.
La prima pagina di questo lungo Diano, che ora vede la luce grazie alla lodevole iniziativa della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Cagliari e con il tangibile contributo della Regione sarda, porta la data del 29 marzo 1855: è sufficiente scorrere le prime righe per individuare in uno spirito polemico, aggressivo e per certi versi acrimonioso uno dei tratti salienti della personalità di Asproni. Primi bersagli dei suoi strali sono i più bei nomi della classe militare piemontese Alfonso Lamarmora, Giacomo Durando, Raffaele Cadorna, a quel tempo tutti in partenza per la Crimea per una guerra che il deputato sardo da buon democratico disapprovava totalmente; ma dietro agli ufficiali, raffigurati come fantocci pronti ad eseguire qualunque ordine, si intravedono subito le responsabilità della classe politica e, più a monte, ma in maniera non meno evidente, di una monarchia che con il mantenimento dello Statuto non è riuscita a mimetizzare il suo carattere essenzialmente reazionario.
A dar corpo alle serrate e spietate critiche di Asproni concorrono da una parte la forma mentis, che è quella di un radicale e forse di un populista più che di un vero e proprio democratico, mancando al suo pensiero, oltre che un contenuto sociale, una base ideologica di cui sia agevole individuare con chiarezza le origini, e, dall'altra, il rancore viscerale del sardo che, proiettato lontano dalla propria terra nella capitale del Regno, prende lentamente coscienza del fatto che l'arretratezza del luogo d'origine ha come causa non ultima lo stato di abbandono a cui lo ha destinato l'incuria dei governanti. La Sardegna, nota Asproni, manca delle più elementari strutture economiche e sale alla ribalta solo quando il malessere sociale vi si manifesta in forme aberranti quali quelle tipiche del banditismo o delle epidemie di colera; a queste forme Torino reagisce con provvedimenti eccezionali come lo stato d'assedio, ma quando la situazione si normalizza evita accuratamente di affrontare il problema alle radici e si accontenta di continuare a pompare le poche risorse in cambio delle quali quel poco che si fa vien fatto cadere dall'alto alla stregua di elemosina.
La condanna che, sulla base di questa analisi, investe gli uomini politici piemontesi è senza attenuanti e colpisce soprattutto Cavour che di quell'orientamento è il principale artefice. In Asproni l'odio per Cavour costituisce un punto fermo: l'accusa al Primo ministro è in pratica il ritornello, il delenda Carthago che conclude tutte le considerazioni sulla questione che inizialmente più sta a cuore all'esponente sardo. E nel misurare il valore del Diario come fonte storica non si può dimenticare l'unilateralità di questo giudizio in forza del quale il capo del Governo è sempre un mostro di machiavellismo che, almeno per i tre anni che occupano questo volume, mira unicamente a tradire l'alleanza che lo ha portato al potere ed a costituire una nuova maggioranza con l'appoggio della Destra conservatrice. Dando per scontato che fine di ogni iniziativa politica è semplicemente il mantenimento del potere, Asproni rinunzia in partenza a cogliere il cauto a volte neanche troppo ma costante dinamismo dell'azione cavouriona che frettolosamente assimila a quelle delle forze conservatrici e clericali. Nella prima parte di questo volume è soprattutto la questione sarda a fare da banco di prova sul quale misurare l'efficienza della coni-