Rassegna storica del Risorgimento
MUSEO DI CAPRERA
anno
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1976
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pagina
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71
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Libri e periodici
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pagine governativa; e qui, come si diceva, il fallimento viene denunziato in termini chiarissimi; nella seconda parte sale invece in primo piano, in congiunzione con i tanti interrogativi lasciati in sospeso dalla conferenza di Parigi, il problema italiano, ed anche su questo punto Asproni è convinto che niente di utile possa derivare alla libertà da una lotta nazionale che tragga ispirazione e direzione da Torino.
Giudizi come questi possono essere, a seconda dei punti di vista, più o meno accettabili; quel che lascia perplessi è il fatto che a tali giudizi ben raramente si accompagna una solida visione capace di portare all'enunciazione di un programma alternativo coerente. Sul problema della sua isola, per esempio, Asproni, dopo aver condannato l'azione o, meglio, l'inazione governativa, deve riconoscere a più riprese il a difetto di unione e di coscienza delle proprie forze che è tipico dei Sardi (p. 161), deve lamentare che e il nostro popolo è ancora barbaro, disunito, senza coscienza di sé e incapace di generose risoluzioni (p. 282), per concludere infine che Vodio del governo contro alla Sardegna trapela in ogni verbo e in ogni azione; ma noi Sardi siamo degni di altissimo disprezzo, perché assai male disimpegnammo il mandato che il popolo ci affidò! (p. 604; il corsivo è nel testo). Deputato sin dal 1849, in sei anni Asproni non è riuscito a stringere legami con i suoi colleghi, tanto meno con quelli che sono suoi conterranei; alla Camera trova l'accordo con il solo Valerio, ma quando questi vota per il trasferimento dell'arsenale militare da Genova a La Spezia, Asproni, che ha combattuto il progetto, annota sconsolato che ce nelle ime latebre del cuore piemontese vi è sempre il sentimento di far prevalere la città di Torino (p. 584); e ancora maggiore è la delusione che prova di li a pochi giorni allorché Valerio definisce la monarchia sabauda <t benemerita della causa italiana (p. 586).
I crucci più grandi glieli dà la Sardegna oc II mio pensiero, come un chiodo fìsso, è sempre là... , confessa il 25 agosto '56 dalla quale è in perenne attesa di notizie: spera che un Vespro sardo, un Vespro che faccia dimenticare quello della Sicilia (p. 276), scuota per sempre la dominazione e straniera e doni all'isola un'amministrazione propria all'interno della futura Italia unita. Ma su cosa egli fondi queste speranze non è dato saperlo, visto che l'immobilismo sardo è assoluto né si delinea all'orizzonte la presenza di un'elite di pensiero in grado di dare inizio al movimento. Perché se Asproni odia tutto ciò che è piemontese, non è tenero per un motivo o per l'altro neanche verso i rappresentanti sardi che con lui siedono alla Camera né con chi comunque possa apparire come l'espressione di un ceto dirigente locale. In proposito l'elenco che segue è lungo ma oltremodo significativo: Giuseppe Siotto Pintor è parato a vendersi per danaro, negli affetti suoi vario ed incostante (p. 139); Bernardino Falqui Pes: oc fiore di ribalderia ed uomo tristo (p. 168), eroico ce nella servitù, nella viltà e nell'ambizione di accumular danari (p. 575); Pasquale Tola: vera anguilla ed uomo per ambizione di avanzamenti capace di vender l'anima se credesse di averne (p. 168); Cristoforo Mameli: ce è vano, leggiero, instabile e, per adulare i ministri, parato a tutto (p. 174); Francesco Sulis: ce ha testa buona, ma è immerso nei vizi (p. 197); Carlo Domenico Mari: ce è di tempra còrsa, ma riottoso e d'indole sospettosa e maligna... p. 197), o, peggio ancora, crede Cavour un genio e confida nel governo di Piemonte (p. 433); Giuseppe Sanna Sanna: a è un cervello ristretto, ma nelle votazioni alla Camera è costante. Vuole metter la mano in ogni cosa che si stampa e non fa che guasti (p. 197), ovvero ce è una nullità, ed ha animo da mercante (p. 374); Efisio Cugia: a è scaltro, cauto, nobile sardo (p. 326); Vincenzo Brusco Onnis: ce un sacco vuoto di ogni buona farina e pieno di orgoglio stupido (p. 343); Gavino Fara: ce uomo cinico, d'instinto maligno e d'ingegno versatile (p. 358); Gavino Scanu: a uomo venale (p. 384), è a impastato di servilismo, e per aver danari baratterebbe anche l'anima se credesse di averne (p. 391); Pietro G. Boyl di Putì figari: ce uomo fortunato quanto ignorante e bestiale (p. 388). Senza contare le ultime pagine del volume che seguono la preparazione e lo svolgimento delle elezioni del 1857: Asproni, dopo aver detto a destra e a manca che non farà nulla per essere rieletto, subita la sconfitta ne addita le cause negli intrighi e nelle manovre dei suoi più accaniti, avversari, i clericali e i filogovernativi, e sancisce in maniera definitiva il suo isolamento all'interno della classe dirigente isolana.
Per fortuna la personalità di Asproni non si esaurisce in questo moralismo che lo porta, lui che si è fatto prete <c per avere quiete e un pane (lo ammette a p. 488) e che