Rassegna storica del Risorgimento

FORTUNATO GIUSTINO; STORIOGRAFIA ITALIA
anno <1976>   pagina <434>
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Luigi Parente
niente mutando: a fianco della pastorìzia cominciava a diffondersi razionalmente l'agricoltura, la borghesia sostituendosi al baronaggio esprimeva il suo potere rodendo quotidianamente i terreni demaniali, mentre i contadini senza terra ot­tennero inutilmente la quotizzazione colla famosa legge del 2 agosto 1806. c
L'uso promiscuo fra comune e chiesa non era sempre al riparo da contesta-zioni, nel mentre i grandi possessori di greggi, ed è il caso dei Fortunato, per neces­sità di cose, dinanzi alle richieste più pressanti di divisione dei pascoli, passano all'amministrazione diretta delle terre. Per circa cinquantanni, fino al '60, la storia sociale di questa parte d'Italia ha un solo ed unico tema: avere un pezzo di terra uà lavorare. Di qui frequenti invasioni da. demani comunali e regi, occupa­zioni di suoli, incendi di boschi, immancabili disturbi di possessi, rifiuti di pagamenti di tasse allo Stato, su cui un qualsiasi Registro degli imputati per pubblici reati, così numerosi nei locali archivi meridionali, illumina a sufficienza. Colla rottura dell'equilibrio borbonico, a questi problemi più strettamente eco­nomici e sociali si aggiunge quello politico della creazione del regno d'Italia
3 Il miglior esame della formazione di questa classe sociale è quanto il Dorso ha scritto della borghesia rurale meridionale all'inizio del XIX secolo: La sua origine si deve ricercare nell'azione antibaronale della monarchia, diretta a ricondurre a unità la pro­prietà terriera, spezzando i vincoli particolari a essa imposti sotto il nome generico di usi civici, e sostituendo la piccola alla grande proprietà. Ma la spinta maggiore alla formazione di questa classe fu data dalla rivoluzione partenopea, che, con le leggi eversive della feuda­lità accelerò il trapasso economico della proprietà ai ceti borghesi che da pochi anni sorge­vano dalla massa confusa del proletariato rurale. Le ragioni giuridiche formali che giusti­ficavano la lotta alla feudalità furono brillantemente riassunte dai giuspubblicisti, che si occuparono del tema, nel vantaggio della classe padronale di favorire la trasformazione del feudo in allodio, per acquistare più larga possibilità di sfruttamento della sua proprietà, e nel compenso che il popolo avrebbe tratto dalle quotizzazioni in cambio della sparizione storica dei diversi usi civici. Ma queste ragioni se trovano giustificazione sociale nella gene­rale tendenza del secolo a una maggiore e più intima appropriazione delle fonti, di produ­zione della ricchezza e, quindi, nel Mezzogiorno, della terra, furono nell'applicazione pra­tica assai lungi dal realizzare quei criteri di giustizia astratta da cui movevano i sostenitori delle riforme. Tanto vero che la questione demaniale riaffiora a ogni movimento che sem­bra scuotere il dominio delle classi dirigenti; e non è gran tempo che lo stesso fascismo a mezzo di Arrigo Serpieri tornava a elaborare le ragioni ideali di giustizia che inutilmente nel 1799 e nel 1861 erano state invocate.
In effetti, le leggi eversive della feudalità servirono molto più a potenziare la bor­ghesia rurale in formazione che a sollevare le misere condizioni del popolo, perché le riven­di che contro gli usurpatori, in massima parte borghesi, non essendo state condotte a fondo, non eliminarono le cause di ingiustizia, e le quotizzazioni rimasero quasi del tutto senza esito perché numerosissime furono le quote non assegnate per mancanza di richieste e più ancora furono quelle retrocesse per mancanza di capitali occorrenti per la messa a coltura. Molte altre infine furono vendute con contratti simulati agli stessi usurpatori, malgrado il divieto della legge. Fu cosi che tutto il sistema giuridico di eversione della feudalità non riusci ad altro scopo che a elaborare storicamente la borghesia rurale. Essa si venne un pò* da per tutto sostituendo alla vecchia classe feudale, di cui assorbì per conseguenza la fun­zione economica, contrapponendosi, con eguale tenacia, allo sforzo di rivendicazione delle classi più UT"'H . (G. DORSO, La rivoluzione meridionale, Milano, 1969, pp. 147-148). Sul meridionalismo del Dorso, cfr. M. L. SALVADORI, Il mito del buongoverno cit., pp. 367 sgg. ed ancora P. BEVILACQUA, op. cit., pp. 57-97. Sulle possibilità oggettive di riuscita in questa particolare situazione socio-politica da parte dello Zurlo, che fu l'ispiratore primo della legge e fin da principio presente nelle operazioni eversive, v. ora P. VILLANI, Feuda­lità, riforme, capitalismo agrario Bari, 1968, pp. 101 sgg.