Rassegna storica del Risorgimento

ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA FONDI ARCHIVISTICI; PARETO LORENZ
anno <1976>   pagina <490>
immagine non disponibile

490
Libri e periodici
Senza dubbio, l'assoluta emarginazione delle prospettive unitarie nazionali in quella che ad un certo punto potè apparire la capitale di un giacobinismo italiano assai latamente inteso, il richiamo poco più. che casuale alle vicende del clero e dei giansenisti, lo stesso esame quasi esclusivamente tecnicistico della stampa, tutto ciò non può che sconcertare qualche volta e lasciare qua e là un certo senso d'insoddisfazione. Ma l'A. ha fatto benissimo a pro­porsi programmaticamente questo circoscriversi tematico, tanto per la sua assoluta origina­lità, quanto perché effettivamente in grado d'involgere un giudizio complessivo esauriente ed articolato sull'intero triennio democratico.
Questo giudizio, diciamolo subito, è quanto mai severo, e sfiora il limite del cata­strofico. La ricchezza privata in mezzo alla generale povertà dello Stato ed alla sua subor­dinazione alla concentrazione finanziaria di S. Giorgio, questo stato di cose indubbiamente aggravatosi nel corso del Settecento, ma che costituiva un dato patologico della costitu­zione genovese, vivacemente sottolineato da Antonio Serra fin dai primi del secolo prece­dente in un parallelo famoso con la prosperità pubblica veneziana, mostrava nei riflessi dell'Ottantanove tutto un suo anacronismo prossimo alla sfacelo.
L'appalto concesso a S. Giorgio sulle imposte indirette, la mancanza d'un moderno catasto, lo schiacciamento dei minori porti liguri da parte di Genova, la dura condizione della massa dei salariati nonostante il rigore della politica annonaria e la tradizionale efficienza delle opere assistenziali, tutti questi si presentavano come i principali problemi di una società percossa dal blocco, dalla pirateria, dal prepotere dei monopolisti granari, già assai prima che la stella del Bonaparte salisse all'orizzonte.
In queste distrette di dimessa mediocrità, osserva finemente l'A., il riformismo aristo­cratico non era altro che nostalgia per un passato idealizzato mentre le buone relazioni serbate costantemente e più o meno spontaneamente con Parigi sia prima che dopo Termi­doro non facevano che mantener vivo un veicolo di propaganda democratica nei cui confronti il tatticismo della vecchia oligarchia non poteva che perdere progressivamente terreno.
Camera di commercio e banca di sconto sono i primi risultati di tale propaganda, indubbiamente moderatissimi, ma tali comunque da scuotere il prepotere oligarchico in una misura forse superiore a quanto lo scetticismo dell'A. si senta di ammettere, ed in ogni modo più consapevole e strutturale di quanto non fosse la convenzione finanziaria dell'ot­tobre 1796, che pur risultò il mezzo diretto dell'ingerenza francese per la ce democratizza­zione della repubblica. Di questa tematica il protagonista è Girolamo Serra, valutato dal-FÀ. con rispettosa equanimità, ma è il moto contadino e clericale del maggio 1797 che fa traboccare il difficile equilibrio.
L'A. esamina con gran cura la natura e la portata di questo grandioso sommovi­mento popolare mettendo in luce come esso costituisse l'autentico sconfitto e la vera vit­tima della sostanza moderata della democratizzazione di Genova .
Questo processo, inaugurato dall'insediamento del governo provvisorio nella famosa giornata drammatizzata dall'abbattimento simbolico (ed artisticamente così funesto) delle statue dei Doria, si articola a livello di base in una istanza di particolarismo nei cui confronti il governo centrale non riesce ad elaborare una piattaforma adeguata.
Scontato il rispetto termidoriano per una proprietà più o meno ce sacrosanta fino a difenderla nelle mani stesse dei nobili formalmente espropriati ed attraverso una falli­mentare strumentalizzazione della propaganda dal pulpito, questa piattaforma tentò in un primo momento, nell'agosto 1797, di articolarsi mediante la generalizzazione del privilegio del porto franco su tutte le coste della Liguria ed un drastico ridimensionamento delle prerogative di S. Giorgio, ma non riusci a sostenersi dinanzi ad una insorgenza nel cui seno la componente religiosa, la mercantile e quella municipale si davano la mano per imporre un compromesso di cui essenzialmente i tecnici, il finanziere Corvetto ed il diplo­matico Ruzza, sarebbero stati i laboriosi artefici, sullo sfondo, non lo si dimentichi, di un personale e tendenzioso intervento ce normalizzatore del Bonaparte. Anche questo com­promesso non trova peraltro grazia agli occhi dell'A. che denunzia nei suoi gestori l'inca­pacità di liberarsi dal giogo degli appaltatori, il bando tenuto fermo contro le istanze uni­tarie con la Cisalpina (ancorché tale atteggiamento fosse favorito e promosso da Parigi),