Rassegna storica del Risorgimento
ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA FONDI ARCHIVISTICI; PARETO LORENZ
anno
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1976
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pagina
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507
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Libri e periodici 507
tezionistiche molto interessanti perché d'ispirazione industrialistica, e non meramente circoscritte al dazio sul grano come di solito nel Mezzogiorno, a cominciare da Ascanio Branca.
U 18 marzo ha comunque il merito di muovere la situazione attraverso quel liberalismo legato al mito di Benedetto Cairoli che in sé ha una notevole importanza ed una diffusione nazionale, ben al di là dello stesso leader, come tramite per una presa di distanza nei confronti della Sinistra storica, tanto lealista quanto autoritaria, ed una confluenza successiva nel radicalismo o nel giolittismo, comunque su piattaforme più adeguate e moderne.
L'A. avrebbe potuto qui approfondire lo studio di Antonio Gaetani Di Laurenza na, il cui imbrianismo inflessibilmente repubblicano è il solo tenacissimo punto di riferimento schiettamente democratico, con tutte le approssimazioni del caso e dell'uomo, lungo l'ultimo ventennio del secolo, mentre egli preferisce far capo ad un personaggio tanto più dinamico quanto più ambiguo come Michele VerziUo, senza cogliere la matrice legalitaria e statalista alla Fortis che promuove e magari giustifica il suo approdo al più piatto giolittismo conservatore.
Dietro questi uomini che abbiamo avuto modo di citare, ed altri non meno rappresentativi, dal Comin direttore del napoletano Pungolo ad Antonio Casertano futuro presidente della Camera fascista fino ad un solenne conservatore come il conte Capitelli, si muove un mondo affaristico e municipale profondamente tarato, personalistico, prepotente, la cui ricostruzione costituisce il maggior pregio del lavoro, quegli importanti prestiti a persone agiate che ancora nel luglio 1890 monopolizzano l'attività delle cosiddette banche popolari cooperative di qualsiasi colore politico, la polemica contro le basse passioni tanto degli anarchici quanto dei socialisti evoluzionisti che, lungo gli anni ottanta, accomuna il Gaetani al Casertano, l'opposizione al suffragio universale, l'assenza di qualsiasi tematica rivendicazionista, quel mito Crispi, finalmente, che a fine secolo travolge nel militarismo e nell'espansionismo fine a sé stessi un vecchio organizzatore come Bartolomeo Scorpio, segnando la fine di un distinto filone radicale casertano (ma Alberto Beneduce conta pur qualcosa, se non altro per le sue eccezionali doti culturali e manageriali!).
A quest'estinzione sostanziale fa seguito l'organizzazione socialista, le leghe di Isola Li ri, la camera del lavoro di Sora, puntualmente sorte nel primo anno del secolo e nell'epicentro della struttura industriale della provincia, ad opera di Bernardo Nardone, mentre Domenico Santoro cura la propaganda bracciantile tra parecchie migliaia di aderenti. Si tratta in entrambi i casi, come in quello di Leopoldo Banucci, di un coerente e consapevole passaggio dal radicalismo al socialismo, nel cui sfondo è la vigorosissima spinta operativa e moralizzatrice suscitata dalla Propaganda a Napoli, con un grosso retroterra massonico, dunque, e con la presenza ineliminabile di Arturo Labriola e degli imminenti sindacalisti, la cui influente attività si farà ben presto avvertire anche in Terra di Lavoro.
L'A. traccia un quadro convincente di questo stato di cose, rileva nel Santoro la subordinazione degli interessi più specificamente bracciantili a quelli della piccola possidenza agraria , sottolinea lo scarto impressionante tra floridezza del movimento economico ed esiguità di quello politico (è un fenomeno notoriamente soprattutto meridionale, ma non in via esclusiva), denunzia negli atteggiamenti giolittiani in Terra di Lavoro, secondo quella divaricazione strategica che fu già indicata dal Carocci e che indagini locali vanno confermando, una manifesta ed organica volontà di soffocamento del movimento operaio , inette in luce la tenace prevalenza riformista tra gli operai delle carterie e la fine del movimento contadino dopo la precoce scomparsa del Santoro (donde la consueta ed irrequieta incidenza sindacalista su frangie sostanzialmente secondarie ed emarginate del proletariato), sottolinea finalmente l'impasse bloccarda in cui vanno ad impantanarsi tanto riformisti quanto sindacalisti alla vigilia della guerra di Libia, sicché anche in Terra di Lavoro, come altrove, ed a Napoli col Bordlga, la bandiera dell'intransigenza è rialzata dalla gioventù socialista, prima di Mussolini ed autonomamente da lui, nel nostro caso da Saloni a e Vendetti accesi antinazionalisti ed antimilitaristi nei confronti di uno schieramento padronale che sempre più va arroccandosi su lince conservatrici che nell'intervento coglieranno l'occasione per una definitiva riaffermazionc della loro vocazione autoritaria e patriottarda.
RAFFAELE COLAPIETRA