Rassegna storica del Risorgimento
ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA FONDI ARCHIVISTICI; PARETO LORENZ
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Libri e periodici
borghesia assediata dal movimento operaio e socialista in fase di pieno sviluppo e potenziamento.
Non ci sentiamo di condividere il presupposto metodologico dell'analisi del dibattito da cui parte Mura per una serie di motivazioni. Anzitutto, non ci pare esatto interpretare le aperture giolittiano al mondo cattolico solo in funzione antisocialista, come stabilizzazione di certi rapporti di classe grazie al superamento delle pregiudiziali clericali e anticlericali che, in quanto sovrastali turali, finivano solo per dividere ed indebolire la borghesia nel suo rapporto col movimento operaio. Secondo questa interpretazione, la tolleranza era lo strumento della classe dominante per la propria sopravvivenza politica.
In realtà, il disegno giolittiano era di più vasta portata e puntava all'allargamento graduale delle basi di consenso dello Stato e, quindi, alla progressiva assunzione di responsabilità politiche da parte delle forze cattoliche e socialiste. Certamente questo progetto politico era mosso dalla volontà di conservare, adattandolo ai tempi nuovi, il sistema liberal-democratico; ma Giolitti non si illudeva certo sulla possibilità di mantenere alla classe dirigente liberale il potere grazie all'appoggio gratuito dei cattolici, o piuttosto dei socialisti, secondo la sua idea originaria.
Con ciò non si vuole negare che la forte attenuazione del non expedit alle elezioni politiche del novembre del 1904 muovesse dai riflessi del primo sciopero generale politico del settembre, ma, piuttosto precisare che Giolitti non partiva da un disegno sistematicamente antisocialista nelle sue aperture verso il mondo cattolico. C'è un'altra osservazione, poi, da fare relativamente al metodo d'analisi usato dal Mura nella ricostruzione del dibattito sulla tolleranza. Anche ponendosi all'interno d'una visione strettamente marxiana delle interferenze fra struttura e sovrastruttura, resta un po' difficile comprendere come l'A. possa spiegare, grazie a un determinato rapporto di produzione e, quindi, di classe, non tanto una corrente di pensiero, quanto addirittura l'evoluzione culturale di un singolo intellettuale. Ci pare, infatti, che, pur con tutta la fiducia che l'autore può attribuire al suo metodo che noi, peraltro, non condividiamo, esso finisca per essere utilizzato con eccessivo ottimismo e per dedurne conclusioni che, in realtà, non hanno niente a che vedere con la premessa. Questa sorta di infortunio sul lavoro si manifesta, per esempio, nella ricostruzione dell'evoluzione culturale di Luzzatti che, da libero pensatore e scientista, divenne spiritualista misticheggiante. L'autore indica nel 1876 l'anno in cui Luzzatti tagliò i ponti col positivismo a favore di una associazione più equilibrata fra la cultura del cuore e quella dell'anima e precisa che questa svolta ce ubbidiva ad una logica politica ben precisa, fondata sul riconoscimento della funzione coesiva della morale, della sua capacità di aggregazione rispetto a delle masse che sempre più sentivano il richiamo dei valori atei e socialisti (p. 125). Resta, tuttavia, da dimostrare quali erano nel 1876 in Italia le masse che sentivano il richiamo dei valori atei e socialisti in modo tanto profondo e diffuso da intimorire Luzzatti e indurlo ad operare quel tipo di conversione ideologica.
Maggiore apprezzamento merita la perizia con cui il Mura ricostruisce il dibattito sulla tolleranza nelle sue tappe essenziali. Il punto di partenza è rappresentato dalla revisione e dagli adattamenti operati dalla cultura cattolica più strettamente legata al magistero ecclesiastico nei confronti dello Stato laico e liberale; revisione che non avviene certo sul piano dogmatico, non investe la tesi, per usare il linguaggio caro ai padri gesuiti, bensì l'ipotesi, ossia l'opportunità pratica d'adeguarsi alla realtà di fatto per evitare un male maggiore. Questa valutazione d'ordine politico dà luogo in campo cattolico all'elaborazione della cosiddetta tolleranza condizionata; ossia una tolleranza che non ha un fondamento dottrinario che la sorregga, ma è ispirata da una valutazione di opportunità politica e da una retta comprensione dell'irreversibile processo di secolarizzazione della società civile.
A questa visione cattolica della tolleranza si affiancavano o si contrapponevano le concezioni liberali. Quella del Marchesini, di matrice positivista, opponeva alla razionalità dell'in tolleranza scientifica l'irrazionalità dell'intolleranza religiosa. La prima era giustificata dall'oggettività della conoscenza scientifica: ogni forma di pluralismo d'opinioni in questo campo avrebbe visto una serie di non-verità convivere con a la verità . La seconda, al contrario, non aveva ragione di essere perché, per il Marchesini, la religione è verità subiettiva e quindi imporla significa contraddire a la legge del differenziamento delle coscienze (p. 97).