Rassegna storica del Risorgimento

ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA FONDI ARCHIVISTICI; PARETO LORENZ
anno <1976>   pagina <513>
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Libri e periodici
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I limiti posti alla tolleranza dal positivista Marchesini erano superati dal Lua-zatti che si richiamava alla formula cavouriana di libera Chiesa in libero Stato e difen­deva un pluralismo assoluto di fedi e di religioni contro ogni forma di clericalismo e di anticlericalismo. La tolleranza di Luzzatti si inseriva in un'armonica visione della concordia sociale che sfociava in una forma di solidarismo. Certamente la sua concezione dello Stato era elitistica e, quindi, egli temeva quelle forme di regime politico che lasciassero spazio agli impeti improvvisi delle passioni popolari (p. 143). Ma non riusciamo a compren­dere come il Mura possa vedere nel pensiero luzzattiano un possibile strumento ce per foschi disegni dittatoriali, anche se non era questa, probabilmente a quell'epoca, la prospettiva che Luzzatti accarezzava in caso di fallimento del suo schema irenistico (p. 143). In realtà, le preoccupazioni del primo e unico presidente del Consiglio di religione ebraica della storia d'Italia erano riflesso di una fase di trapasso da ima forma di governo elitista ad un sistema liberal-democratico che Luzzatti e tutta la classe dirigente giolittiana voleva. È, quindi, ar­duo vedere foschi disegni dittatoriali laddove il tema di dibattito era piuttosto sul come gli istituti liberali dovevano adattarsi ed aprirsi ad una nuova partecipazione popolare.
Forte e polemico critico delle idee di Luzzatti in tema di tolleranza fu Croce che le considerò un prodotto di scetticismo e di indifferentismo. Il Croce che emerge dalle pagine del Mura è un vero e proprio teorico dell'intolleranza: immagine inconsueta per il filosofo che diverrà campione dell'antifascismo. Il superamento della religione da parte della filosofia idealistica quale forma di pensiero superiore induceva Croce a combattere con veemenza chiunque si opponesse, su di un piano speculativo, al suo pensiero, ed a giustificare come op­portuna e necessaria questa prassi, contro ogni forma di pressappochismo intellettuale e di relativismo teoretico. Vale la pena di precisare, tuttavia, che la libertà di pensiero che Croce combatteva era quella che, dal suo punto di vista, definiva libertà di spropositi. La sua in­tolleranza, quindi, non aveva implicazioni politiche, ma solo intellettuali; non era riflesso della concezione di uno Stato intollerante, ma muoveva da un presupposto razionalistico per combattere le posizioni che riteneva sorrette da una razionalità claudicante.
SANDRO ROGARI
ALDO DI BIASIO, La questione meridionale in Terra di Lavoro 1800-1900 con prefazione di CARLO ZACHI; Napoli, EDI-SUD, distribuito da Guida Editori, 1976, in 8, pp. XV-354. L. 8.000.
Terra di Lavoro, la provincia più ricca del Regno delle Due Sicilie, diventa, nella seconda metà del XLX secolo, una delle più. depresse e diseredate aree del nuovo Regno d'Italia, ricca solo di pauperismo e di disoccupazione (XIV). Sui motivi e sulle fasi della sconcertante evoluzione indaga il Di Biasio in un denso volume, che si sviluppa intorno allo spartiacque segnato dall'unificazione nazionale.
Al momento del crollo della dinastia borbonica, i settori industriali del Casertano manifatture tessili e cartiere, soprattutto forti del regime protezionistico e del parti­colare sostegno dei sovrani, sono imperniati su complessi ben avviati e competitivi anche al di fuori della penisola; la produzione agricola, tradizionalmente florida, è in costante espansione. Dopo il 1860, per contro, s'avvia un processo di recessione irreversibile e glo­bale. L'introduzione della tariffa unica rende indifese le industrie nei confronti della concor­renza straniera, cadono drasticamente gli investimenti pubblici e si amplia a dismisura la pressione fiscale. D'altra parte, il sistema con cui vengono portate a termine l'eversione del­l'Asse ecclesiastico, la quotizzazione dei demani comunali e l'assegnazione delle terre in­colte o paludose bonificate e la stessa trasformazione degli Istituti di Credito permettono alla borghesìa fondiaria, la cui affermazione ha preso l'avvio al tempo della dominazione francese (p. 19), di soppiantare quasi del tutto la piccola proprietà contadina, la quale, chiarisce il Di Biasio, fino a quando riesce a sopravvivere in misura considerevole, cioè fin verso il 1880, è la struttura portante del livello ottimale della produzione agricola.
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