Rassegna storica del Risorgimento

ROSA GABRIELE
anno <1977>   pagina <35>
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Le autonomie locali e Gabriele Rosa
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quando, ormai conseguita l'unità, la sua opinione non poteva più fare, diciamo cosi, il gioco ' dell'Austria. Ma la contrapposizione fa emergere ugualmente con grande evidenza la diversità degli interessi. Per il primo è importante anzitutto e soprattutto il risultato dell'unità. B) per il secondo sono centrali dapprima il procedimento verso tale unità, e quindi, una volta che questa sia stata comunque ottenuta, il suo modo di essere.
Come si è anticipato, però, qui si vuole affrontare l'autonomismo di Ga­briele Rosa da un punto di vista diverso da quello del regionalismo. Ciò anche perché la questione regionale, come questione della eventuale, futura creazione di un ente che, al momento, è di là da venire, resta in larga misura una que­stione astratta, sulla quale può forse misurarsi il dibattito politico e culturale, non ancora la concreta esperienza amministrativa e politica di un uomo di fede democratica che si trovi a operare a livello locale nell'età della Destra e nell'età di Depreda.
Già concreta, al contrario, è la questione dei Comuni, con cui il Rosa è posto a contatto nell'esercizio delle sue funzioni di membro del consiglio pro­vinciale di Brescia.
Per comprendere appieno la consistenza di tale contatto bisogna ricordare, sia pure succintamente, le caratteristiche dell'ordinamento comunale e provin­ciale italiano prima delle riforme crispine del 1888-89, che non solo comince­ranno a introdurre la elettività dei sindaci (la nomina statale dei quali, prevista dalla legge piemontese del 1859, era stata una delle principali motivazioni della tesi cattaneana della superiorità degli ordinamenti locali lombardi), ma separe­ranno anche a livello provinciale l'amministrazione attiva e l'amministrazione di controllo, attribuendo l'una alla Deputazione provinciale, di cui non sarà più presidente il Prefetto, e la seconda ad un nuovo organo collegiale, la Giunta pro­vinciale amministrativa (G.P.A.), che avrà nel Prefetto stesso il suo dominus. 14> Dunque, finché il Rosa fu consigliere provinciale, la Deputazione ebbe come presidente il Prefetto ed esercitò la tutela sui Comuni.
È noto che tale sistema dava luogo a un circuito istituzionale cbe consentiva la conservazione del potere nelle mani di una classe politica estremamente ri­stretta. Per effetto dell'accentramento, infatti, gli interessi locali potevano tro­vare soddisfazione soltanto presso l'amministrazione centrale, che in tanto vi si prestava in quanto coloro che se ne facevano interpreti, cioè i deputati, sostenes­sero il Governo in carica, da cui l'amministrazione centrale dipendeva. Il Go­verno, perciò, si reggeva in Parlamento non sul consenso attorno a un programma, ma sulla capacita di soddisfare specifici interessi locali e settoriali. A sua volta,
13> Di a sostanziale noncuranza per l'ordinamento interno parla, citando una lettera di Mazzini al Pianciani del 17 marzo 1861 quale a migliore esegesi delle affermazioni di prin­cipio formulate da Mazzini nel 1833, e ribadite proprio nel 1861 nella seconda parte del noto saggio Dell'Unità italiana , C. PAVONE, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Raiiazzi a Rifusoli (1859-1866), Milano, 1964, pp. 91-92. In proposito resta fondamentale F. DELLA PERUTA, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano, 1958.
,4) G. Rosa avrebbe criticato la riforma crispina ancora in fieri, osservando esatta­mente che la tutela sui Comuni restava affidata al prefetto sia pure non in sede di depu­tazione provinciale, bensì in sede di organi provinciali di controllo: a Chi non vede quindi che la vasta tutela e la grande autorità sui Comuni e sulle Provincie concentrasi, in pra­tica nelle mani del Prefetto, e quindi del Ministro dell'interno che lo muove a cenni tele­grafici? Che monta il voto universale a petto a questa onnipotenza prefettizia? (La legge cit., pp. 12-13).