Rassegna storica del Risorgimento

ROSA GABRIELE
anno <1977>   pagina <41>
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Le autonomie locali e Gabriele Rosa 41
preso e sviluppato nella quarta, cioè la critica al principio, per cui quanto mag­giore è il Comune per numero di abitanti, tanto più alta deve essere l'imposta diretta pagata dal singolo per avere il diritto di voto : la legge del 1859 spiega il Cattaneo esclude dal voto comunale la maggioranza degli abitanti, perché ingiunge loro la condizione di pagare da cinque a venticinque franchi d'imposta diretta. Quella del testatico [vigente sotto l'Austria] era ingiusta; ma era diretta; e con l'abolizione di essa la maggioranza degli operai rimase priva di voto, men­tre in uno od altro indiretto modo paga assai più di prima. E chi, pagando cin­que franchi di imposta diretta ha oggi il voto, perché oggi la popolazione del suo comune non oltrepassa tremila abitanti, non avrà più il voto dimani, per­ché l'arrivo di una famiglia o la nascita di qualche bambino può elevare la popolazione oltre quella capricciosa cifra, o perché egli medesimo dovrà trasfe­rirsi in altro comune di maggior popolazione, o perché il beneplacito ministe­riale aggregherà volenti o nolenti due comuni in uno solo .
È necessario, però, notare che Carlo Cattaneo non difende i piccoli Comuni per le caratteristiche della legge elettorale italiana, che riduce il diritto di voto dei ceti meno abbienti a mano a mano che cresce la dimensione comunale. Se così fosse, la sua istanza sarebbe soltanto la modificazione della legge elettorale nel senso della identità di censo minimo richiesto come requisito di elettorato in tutti ì Comuni indistintamente, grandi o piccoli, o, al limite, nel senso del suf­fragio universale. Viceversa il Cattaneo sostiene i piccoli Comuni come tali, anche a prescindere dalla legge elettorale: nella legge francese e nelle due o tre riproduzioni che se ne fecero in Piemonte scrive nella seconda lettera il concetto del comune venne capovolto e negato perché non si considerò che il comune era un fatto spontaneo di natura come la famiglia . Così ministri e legislatori, preoccupati della dottrina francese, hanno pensato che i comuni mi­nori o si dovessero dare in aggiunta alle città vicine o si dovessero affastellare l'uno sull'altro, fino a una certa misura di popolazione che fosse la più maneg­gevole a chi ha prò tempore i piaceri dell'onnipotenza . Nella specie nei co­muni minori si fece conto che la più opportuna dose di popolazione fosse dai 2500 abitanti ai 3000. I più spiega il Cattaneo preferiscono la seconda mi­sura o, come amano dire, la seconda stregua. Intanto questo appare ormai un punto inconcusso di dottrina amministrativa che i comuni piccoli sono un prin­cipio di impotenza, un disordine, un male. I piccoli comuni un male? esclama il Cattaneo Come? La Lombardia che fra tutte le regioni d'Italia si trovò pri­mamente e più largamente dotata di strade, di scuole, di medici condotti e di ogni altra comunale provvidenza è appunto quella che fra tutte quante ha il mas­simo numero di comuni piccoli e piccolissimi . In media calcola il Catta­neo su quindici Comuni si tratterebbe di modellarne quattordici: sarebbe per la Lombardia una sovversione dello stato di fatto e di diritto letteralmente generale . Una sovversione del tutto ingiustificata quando si consideri ag­giunge che l'aumento continuo della proprietà, dopo il 1755, in quel per­petuo campo di guerra che si chiama Lombardia, si deve principalmente a questo. Si deve alla molteplicità dei comuni, alla mutua loro indipendenza, a una più larga padronanza delle cose proprie* a un più libero uso della ragione e della volontà dei propri affari. Questo è il segreto. È un errore che l'efficacia della vita comunale debba farsi maggiore con la incorporazione di più comuni in uno solo, vale a dire con una larga soppressione di codesti problemi della vita nazio­nale . Né si dica, insiste il Cattaneo, che col sodalizio forzato dei comuni, le istituzioni dei più deboli e prosperi si propaghino agli altri. No, nei corpi deli-