Rassegna storica del Risorgimento
ROSA GABRIELE
anno
<
1977
>
pagina
<
45
>
Le autonomie locali e Gabriele Rosa
45
Il Mazzini, in effetti, era mosso da una intuizione che a ben guardare rappresenta poi anche la spiegazione del fenomeno per cui nella storia italiana la battaglia democratica per le autonomie locali ha finito col tradursi essenziale mente nella battaglia per le Regioni. Era mosso, cioè, dall'intuizione che non si poteva contrastare efficacemente la crescente ingerenza dello Stato se non con la presenza in periferia di punti di riferimento dotati di una consistenza adeguata: oggi afferma nel suo articolo del 1861 tra per le origini derivate dai tempi feudali, tra per la soverchia influenza d'uno spirito d'analisi che guarda con favore allo smembramento, è nella vita dello Stato troppo sminuzzamento. comeché taluni ne travedano un pegno di libertà, solo a giovarsene è appunto quel Potere Centrale, ch'essi paventano usurpatore e che, incontrando debolezza per ogni dove e aristocrazie patrizie e borghesi dominatrici su piccole sfere, spezza agevolmente le resistenze o, accarezzandole, le addormenta. Non è vero che ovunque un certo numero d'uomini si raggruppa intorno a certi interessi materiali pigmei, ivi viva una individualità politica. L'individualità politica non vive dove non ha missione speciale da compiere, e dovizia di facoltà e di strumenti per compierla .
È difficile leggere queste righe subito dopo quelle di Cattaneo (le cui tesi del 1864 derivavano da principi formulati ed espressi ben prima) senza lasciarsi cogliere dal sospetto che vi si alluda polemicamente al filosofo lombardo. Si pensi ai cenni sulla soverchia influenza dello spirito d'analisi o a coloro che nello sminuzzamento travedono un pegno di libertà , e, soprattutto, alla recisa negazione che ovunque un certo numero d'uomini s'aggruppa intorno a certi interessi materiali pigmei, ivi viva una individualità politica (da vedere, per esempio, in rapporto al passo del Rosa sopracitato : ogni agglomerazione stabile d'uomini può comporre un comune ). Ma, fondato o meno che sia il sospetto, il problema, come lo chiama il Mazzini, della dovizia di facoltà e di stromenti è problema reale. Se, come egli scrive base alla servitù dei comuni è la loro piccola estensione , allora il comune è un'associazione destinata a rappresentare quasi in miniatura lo Stato; ed è necessario dargli la forza necessaria a raggiungere il fine. L'impotenza dei piccoli comuni a raggiungerlo e provvedere coi propri mezzi al soddisfacimento dei propri bisogni materiali e morali, li piega a invocare l'intervento governativo e salificargli la coscienza e l'abitudine alla libera vita locale. Né si tratta di un'idea nuova, improvvisa, che già, alcuni anni prima, un manifesto firmato anche dal Mazzini aveva parlato di un ordinamento di liberi e grossi comuni, i quali riproducono in sé, su piccola scala, tutti gli elementi di vita della nazione.39)
lombarda. (Commissione Giulini) sostennero la conservazione dell'ordinamento comunale austrìaco, sia pure in termini assai diversi da quelli del Cattaneo.
Comunque sia, l'autore riconosce che le quattro lettere pubblicate sul Diritto costituiscono uno dei commenti più impegnati al dibattito e una delle manifestazioni più brillanti del pensiero di Cattaneo su tutta la materia comunale (C. PAVONE, op. cit.t
p. 179).
È da osservare, per completezza, ohe la tesi del Cattaneo non è condivisa nemmeno da quei lombardi ohe sono su posizioni federaliste o quasi, anche se negano di esserlo, come, ad esempio, L. BoanoNi, Dell'autonomia amministrativa dei singoli Stati d'Italia, ossia norme fondamentali per l'ordinamento del nuovo regno italiano uno, indipendente e Ubero, Milano, 1860, ora in C. PAVONE, op. cit. pp. 329-336. Secondo il Borioni, i Comuni lombardi dovevano ridursi da 2100 a 600 o, al massimo, a 700.
m Cfr. L. CECCHINI, op. et*., pp. 13-14.