Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno <1977>   pagina <66>
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Libri e periodici
per esso il momento di chiudersi nelle riflessioni e alle imagini che ora, sole, mi restano andando a prepararmi l'entrata nella Eternità . Così chiude questo ultimo messaggio che rispecchia emblematicamente il tono di una vita monocorde nel sentimento: Ripeto tutte le mie divote, infinite gratitudini a Vostra Maestà, e con quanta forza mi resta imploro dalla Onnipotenza la conservazione la più lunga che possa essere della Gloriosa Vita di Vostra Maestà. Con queste preghiere finirà probabilmente la mia vita che resterà per sempre prostrata al Trono della Maestà Vostra . E così, infatti, quella vita ebbe termine suggel­lando una consuetudine di rapporti che mai era stata offuscata, da una parte e dall'altra, da malintesi, da sospetti, da incrinature. Anzi, questo volume del Barreca ci dà la misura della intensità della stima e dell'affetto di Carlo HI per questo suo grande e illuminato sud­dito e ministro perché proprio dalle prime lettere in esso raccolte si apprende che il sovrano non si astenne fino all'ultimo di raccomandare al figlio Ferdinando IV di non privarsi del­l'aiuto del vegliardo e di non ferirlo assolutamente, si che la notizia della sua sostituzione con il siciliano Giuseppe Beccadelli marchese di Sambuca avvenne a sua insaputa e con viva contrarietà del re che risiedeva a Madrid.
L'antico appello rivolto agli studiosi da Benedetto Croce in Uomini e cose della vec­chia Italia affinché accertassero in quali condizioni il Toscano visse i suoi ultimi anni a San Giorgio a Cremano è stato degnamente e fruttuosamente raccolto da Luigi Barreca per­ché queste 332 lettere che, a tanta distanza di tempo, giungono a noi rispondono chiara­mente a quella richiesta fotografandoci la malinconia, non esente da amarezza e irritazione senili, che fu la estrema compagna del grande vecchio nei suoi ultimi anni. Forse è questo anzi il maggiore e più indiscusso apporto che ci viene dalla tenace e generosa fatica di que­sto giovane e promettente studioso palermitano.
Sia dalla introduzione dettata dal Barreca, sia dalla lettura diretta delle lettere balza viva la immagine di un uomo che, a ogni pie sospinto, si vede lui che era stato così po­tente e cosi illuminato oggetto delle meschine attenzioni di una caterva di gente che non sembra avere altro scopo che quello di renderne indecoroso e amaro il tramonto fisico. Meglio sarebbe stato per il Tanucci rifugiarsi tra Pisa e il Casentino, nella terra che lo aveva visto nascere, dove non gli sarebbe mancata una assistenza rispettosa in uno scenario di antichi ricordi e profumi della sua giovinezza. Ma chi legge queste lettere non stenta ad intuire che a Napoli il Tanucci non restò solo perché Ferdinando IV non voleva ferire il padre, ma anche perché il vecchio statista, almeno nei primi tempi, si illuse che la sua pre­senza accanto al giovane sovrano potesse essere ancora veramente utile.
Non era, invece, questa l'intenzione del re che d'altro canto era impedito a seguire questa retta intenzione della pervicace ostilità verso il Toscano della regina Maria Carolina, dall'odio dell'ambasciatore di Vienna e dall'invidia e dai repressi rancori di molti giovani personaggi della Corte. Il vecchio, anche se confinato a San Giorgio a Cremano, disturbava ancora, e facile sembravano la vendetta e la rivalsa su di lui da parte di quanti si erano sentiti umiliati dal suo ingegno e dal suo tallone. Non mancarono, quindi, di azzannarlo e di contendergli, auspice il Sambuca, i ristretti spazi che gli erano stati riservati affinché non apparisse del tutto fittizia e derisoria la sua nomina a Consigliere di Stato: l'amministra­zione dei beni di Don Filippo, l'infelicissimo primogenito di Carlo IH verso il quale da Madrid à volgeva costante e preoccupato il pensiero del padre, e il processo ai Liberi Muratori.
In quella situazione, in cui gente dappoco cercava di impicciolire l'atleta del pensiero riformatore in Italia e di provocarne i risentimenti, Tanucci, fors'anco per l'età molto avan­zata, non seppe chiudersi in sdegnoso silenzio. Suo campo di sfogo restava il grande e lon­tano re amico e questo carteggio non è che hi registrazione delle querule invocazioni che vengono ad esso rivolte.
Così, fin da una delle prime lettere (29 ottobre 1776) in cui egli scrive che i segni del-suo ricordo, appena pervenutigli, ce sollevarono e trattennero l'animo caduto, e agitato pel molto e vario, che devo vedere e ascoltare . Invano il re gli consiglia di non raccogliere gli atti sgraditi. Tanucci non può fare a meno di renderlo edotto che le sue stesse reali let­tere gli vengono consegnate aperte e lette, sia pure avvolte dallo stesso re Ferdinando in una busta sigillata. Se Tanucci ne domanda in qualche casuale incontro al Sambuca, quando qualche lettera settimanale tarda ad essergli recapitata, questo gli risponde freddamente