Rassegna storica del Risorgimento
CRISPI FRANCESCO CARTE; MANCINI PASQUALE STANSLAO CARTE; MUSEO
anno
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1977
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pagina
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361
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Libri e periodici
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uno fra i tanti enormi errori del partito d'azione (p. 45), Tatto che ha finito per sancire un processo che Calvi considera non di unità nazionale, ina di ingrandimento di un solo Stato, il Piemonte, a spese e con la comprensione violenta delle istanze di tutti gli altri. Alla critica dei modi e delle circostanze con cui si è attuata l'unificazione della penisola Calvi, che non è un anarchico, ma non è neanche un riformista di tipo occidentale, affianca H rifiuto del governo costituzionale nel quale scorge paradossalmente una garanzia più per il monarca che per i suoi sudditi, una garanzia contro un eventuale prepotere delle Camere, dove, sostiene il siciliano, vanno a sedere non i rappresentanti del popolo, ma quelli delle classi dominanti: l'origine sociale dei deputati è cosi il primo impedimento ad ogni applicazione della giustizia e all'attuazione della libertà, di cui sotto la monarchia costituzionale... esiste solo l'apparenza illusoria (p. 39). Il re dunque continuerà ad esercitare il suo dispotismo, anche in regime costituzionale, con la connivenza, spontanea o forzata, dei rappresentanti del popolo; ma se anche i deputati vorranno avvalersi dei poteri loro conferiti, ecco come la costituzione verrà in soccorso del despota e dei suoi ministri: quando la corruzione non basterà per avere a loro arbitrio la maggioranza, i ministri ed il re si serviranno del potere di sciogliere la camera, ed al bisogno di quello del veto . E se il Parlamento ripresenterà le leggi bloccate col veto? ... quando la corruzione e il veto non basteranno replica Calvi al suo immaginario interlocutore , quando il re e i ministri sono stanchi della insistenza e resistenza parlamentare, disponendo essi della forza militare, il cui principio regolatore è l'obbedienza passiva ai suoi capi, e il capo principale è il re, e per lui il ministro della guerra, si serviranno di essa, e con un cosi detto colpo di Stato distruggeranno la noiosa costituzione, tranne che il popolo resista a mano armata e non abbia la fortuna di trionfare e di liberarsi della monarchia (pp. 40-41).
È ovvio che per delineare una concezione cosi estremistica, in cui anche il mito dell'Inghilterra, e paese che vive sotto la più crudele oligarchia del capitale territoriale, industriale e bancario (p. 169), cade sotto i colpi del suo radicalismo, Calvi debba far ricorso a più di una inevitabile forzatura, come quando ad esempio legge la storia francese e quella inglese in termini di violenza della monarchia sulle Camere e di giuramenti di fedeltà alla Costituzione violati; ma la cosa fondamentale, che si può accettare o meno, ma che comunque non è lecito trascurare, è qui la sua ferma consapevolezza dello stop che la democrazia di tipo borghese ha imposto alla marcia della società verso la piena eguaglianza. Nella sua costruzione Calvi non mette in discussione la funzione progressiva della borghesia, ma la vede esaurita con il conseguimento dei diritti politici: terminata la lotta contro il feudalesimo, la borghesia, per le sue stesse caratteristiche di classe, pel suo tenace ed acre attaccamento alla proprietà esclusiva (p. 85), per il timore di a ogni novità che render potesse meno vantaggiose le sue condizioni, meno tristi quelle delle altre classi, e segnatamente della bassa borghesia e del proletariato (p. 161), si è rassegnata ad assumere una posizione di retroguardia, a fare da puntello alla monarchia.
Lo Stato unitario italiano, essendo per Calvi creazione appunto della borghesia, presenta nelle istituzioni che si è dato tutti i difetti del suo marchio dì origine; la scelta accentratrice è per il siciliano nient'altro che l'applicazione sistematica di una volontà dispotica alla quale non si sottrae nessun corpo dello Stato, nemmeno quella magistratura, a ordinario strumento del dispotismo (p. 62), cui lo stesso Calvi appartiene. E nelle sue parole si coglie facilmente lo sdegno di chi, dal posto di prestigio in cui sì è venuto a trovare, ne ha viste tante, ha toccato con mano la violenza del potere, ne è rimasto scottato *)
e lo considera facente capo al gruppo democratico dissidente dell'autonomista Giovanni Raffaele e dell'unitario Pasquale Calvi. Esso prosegue Cerrito propugna l'unità sotto Vittorio Emanuele, ma con una nuova costituzione formulata da un'assemblea costituente, eletta a suffragio universale, e con le dovute " guarentigia " per la Sicilia . In Calvi l'unitarismo condizionato, e forse strumentale, del '61 si evòlve negli anni successivi verso forme decisamente autonomistiche.
4) Pasquale Calvi si legge neWIntroduzione di E. LA LOGGIA a F. BRANCATO, Storia della Sicilia post-unificazione, parte I, La Sicilia nel primo ventennio del Regno d'Italia* Bologna. 1956, p. XV , Presidente della Suprema Corte di Giustizia [di Palermo],