Rassegna storica del Risorgimento
PARLAMENTO ITALIANO OSTRUZIONISMO 1897-1900
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Anna Maria Isastia
un falso, si sottolineò il fatto che l'astensione si dichiarava, non si poteva presumere; Bissolati disse apertamente di non aver risposto alla chiamata, dopo aver chiesto la votazione nominale, perché la presenza di un deputato di opposizione non venisse ad occupare il posto di qualche deputato assente della maggioranza .59) Dunque nella speranza di far mancare il numero legale. Socci, Mazza e Budassi chiesero anch'essi la parola per sottolineare che erano stati considerati astenuti nella votazione del 20 giugno, giorno in cui erano invece assenti da Roma. Ferri, con la sua consumata abilità oratoria, tra rumori ed interruzioni della destra e del centro, denunciò la falsità del verbale steso nella seduta precedente, arrivando ad accusare Chinaglia di aver commesso delle trufferie.60*
La reazione fu violenta, grida, rumori e scambio di invettive tra le due ali del parlamento. Era, da parte dell'Estrema, una vera manovra concertata contro la presidenza che aveva commesso l'ingenuità di considerare astenuti tre deputati assenti nella seduta del 20.
Questo potrebbe spiegare l'allontanamento dall'aula, il giorno dopo, al momento della votazione, proprio di quei deputati che l'avevano richiesta, dato che non sembra credibile che l'Estrema pensasse di poter far mancare il numero legale con la sola assenza di 12 deputati, considerando che avevano votato no in 221 e la maggioranza richiesta era di 127 voti. Troppo forte lo scarto per non dar credito all'ipotesi che il vero obiettivo della manovra fosse quello di creare l'incidente, avere un valido motivo per prendere la parola prima dell'approvazione del processo verbale della seduta precedente e tenere occupata l'assemblea parte del pomeriggio su tale questione oltre a quello di screditare la presidenza.
Da ultimo, dopo le spiegazioni di Chinaglia, Ferri propose di sottoporre alla Commissione del regolamento la questione circa la qualifica da dare a quei deputati che non votavano dopo aver richiesto la votazione nominale e chiese al riguardo un'ennesima votazione nominale che diede risultato sfavorevole all'oratore. Subito dopo si alzò De Felice Giuffrida per domandare la votazione nominale per l'approvazione del processo verbale, tra le urla e le proteste della destra e del centro, ritirandola, però, appena si accorse che Pelloux aveva chiesto la parola. Il presidente del Consiglio, alzatosi, comunicò che la sessione del Senato e della Camera era prorogata al 28 giugno.
L'annuncio non giungeva inaspettato. Da molti giorni si sapeva che il ministero stava studiando il sistema di scavalcare la Camera sui provvedimenti politici e si sapeva che ciò sarebbe stato fatto con un decreto reale. L'unico dubbio riguardava il momento che sarebbe stato scelto ed ora esso era venuto, accolto a destra come la fine di un incubo, a sinistra come un trionfo perché il governo, abbandonata la legalità mostrava finalmente il suo vero volto ricorrendo alla violenza.
La stampa conservatrice difese a spada tratta le decisioni governative negando che esistesse conflitto tra Camera e Ministero e che l'atto di forza potesse concludersi con lo scioglimento dell'una o le dimissioni dell'altro. Era evidente, si sosteneva, che per fare approvare le modifiche al regolamento che, sole, avrebbero permesso il passaggio dei provvedimenti politici si sarebbe dovuta ingaggiare un'altra grossa battaglia che avrebbe visto unite tutte le sinistre.
A.C., Ds., XX, 2 tornata del 22 giugno 1899, p. 4743. Ibidem, p. 4747.