Rassegna storica del Risorgimento

FENICIA (FAMIGLIA) CARTE; RUVO DI PUGLIA STORIA 1627-1870
anno <1978>   pagina <61>
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LIBRI E PERIODICI
MARTA PIERONI FRANCINI, Un vescovo toscano tra riformismo e rivoluzione. Mons. Grego­rio Alessandri 1776-1802. Presentazione di VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA; Roma, Elia, 1977, in 8, pp. 332. L. 6.500.
La 'vicenda di mons. Alessandri, prelato generalmente ritenuto di secondo piano nel-1 organigramma episcopale toscano dell'età Leopoldina, offre elementi di estremo interesse per cogliere e valutare i caratteri la portata ed i limiti di quel fervido ed articolato tentativo di rinnovamento, fratto dell'azione combinata del riformismo granducale e delle istanze gianseniste del Ricci e dei suoi seguaci, che visse il granducato nell'ultimo quarto del XVIII secolo.
Promosso alla sede vescovile di Cortona nel 1776, dopo aver retto per un triennio la diocesi di So vana, egli risultò subito uno degli assertori più decisi delle direttive grandu­cali. Forse non fu del tutto estraneo a tale atteggiamento il fatto che la sua carriera era stata favorita dalle benemerenze acquistate dal padre Ferdinando presso la famiglia re­gnante; ciononostante, non è possibile disconoscergli un sincero desiderio di rinascita reli­giosa, mosso dalla constatazione del panorama, complessivamente desolante, della Chiesa toscana dell'epoca. Appena insediatosi a Cortona, città di provincia ricca di fermenti cultu­rali e religiosi, diede prova di non volersi piegare ce alle consuetudini locali e (...) al muni­cipalismo (p. 83). Di conseguenza, le iniziative e le prese di posizione volte a porre un freno ad abusi inveterati ed a manifestazioni devozionalìstiche basti ricordare le dispo­sizioni affinché le sepolture avvenissero fuori dai centri abitati, la soppressione generalizzata delle compagnie laicali, il controllo della disciplina ecclesiastica, la limitazione dei mona­steri, l'abolizione del culto del Sacro Cuore, le innovazioni nel cerimoniale di alcune fun­zioni religiose gli attirarono il plauso ed il sostegno dei filoricciani; ma, contempora­neamente, il risentimento di chi vedeva scalfiti o messi a repentaglio interessi e vecchi pri­vilegi innalzò intorno alla sua persona una barriera di ostilità e ne rese difficile l'azione pastorale. Era fatale che, mentre in tutta la Toscana assumeva toni accesi il dibattito o, più spesso, lo scontro tra innovatori e curialisti, ogni iniziativa del vescovo, anche se dettata da perfetta buona fede, venisse ad assumere un significato di parte, a seconda del­l'ottica dell'osservatore; che ogni provvedimento vòlto a porre ordine nell'amministrazione diocesana fosse interpretato dagli oppositori in termini di passivo adeguamento alla vo­lontà granducale. Ad accentuare le angolosità concorrevano, osserva la Pieroni Francini, la frettolosità e la scarsa cautela con le quali si muoveva e che si manifestarono nella scelta, non sempre oculata, dei collaboratori diretti e in decisioni quella concernente la sotto­scrizione e l'adozione del Catechismo per i fanciulli del Montazet, su tutte non adegua­tamente ponderate.
Ad un certo momento, però, l'Alessandri, che tanto avanti si era spinto sulla via delle riforme e che tanti entusiasmi aveva suscitato nella schiera dei giansenisti toscani, passò decisamente dall'altra parte della barricata, sostenendo a spada tratta le posizioni dei curia­listi. Il ripensamento si delineò nei primi mesi del 1777, durante l'elaborazione della ri­sposta ai cinquantasette punti del granduca e si manifestò in tutta la sua portata nell'as­semblea dei vescovi svoltasi a Firenze dall'aprile al giugno dello stesso anno, assemblea che a sancì non soltanto il tramonto delle riforme ricciane ma anche la fine dell'esperienza straordinaria del riformismo ecclesiastico Icopoldino (p. 173), Naturalmente, il brusco cambiamento di rotta produsse vivaci conseguenze nell'ambiente cortonese, divenuto scot­tante per i filoricciani. Mentre il vescovo lasciava cadere ad una ad una le riforme avviate, si guastarono i suoi rapporti con la corte e di ciò approfittarono avversari antichi e nuovi, per muovergli ripetute accuse e per rendergli difficile la vita a Cortona, al punto che, nel 1791, chiese ed ottenne da Roma il permesso di allontanarsi per alcuni mesi dalla diocesi, in attesa che la situazione si decantasse.