Rassegna storica del Risorgimento

FENICIA (FAMIGLIA) CARTE; RUVO DI PUGLIA STORIA 1627-1870
anno <1978>   pagina <71>
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dosi in particolare alle interpretazioni recenti, il Milani afferma inoltre: L'insurrezione della plebe brontese veniva presentata come un naturale episodio di lotta di classe, ciò che fu; e la repressione come una naturale reazione di un potere già costituito, già compro­messo e al servizio delle classi privilegiate, ciò che non fu. I fatti di Bronte sarebbero po­tuti accadere anche senza lo sbarco dei Mille: non così la repressione, almeno quella " in ogni momento controllata " messa in atto da Bixio per ordine di Garibaldi. Azione che fu motivata da considerazioni politiche, non sociali, e, addirittura, di politica estera . Que­st'ultima affermazione si riferisce alla circostanza delle pressioni molto significative eserci­tate su Garibaldi dal console inglese a Catania: gran parte dei terreni prossimi a quelli demaniali per la cui spartizione era scoppiata la rivolta, costituivano infatti la Ducea di Bronte, feudo dei discendenti di Nelson, al quale era stata conferita da Ferdinando IV. E non occorre certo spendere molte parole per ricordare l'importanza dell'appoggio britan­nico all'impresa garibaldina.
Chi può dire, poi, che proprio il ricordo delle esecuzioni di Bronte non sia stato uno dei motivi del rifiuto che in seguito, ripetutamente Bixio oppose, in qualità sia di parla­mentare sia di generale del Regio Esercito, all'impiego della violenza in azioni di ordine pubblico? II Milani attinge giudiziosamente agli Atti parlamentari e fa sue le principali conclusioni dello studio su Bixio politico di Emilia Morelli (E. Morelli, L'opera politica di Nino Bixio, Roma, Edizioni Ricerche, 1967). Valgano due soli esempi.
Discutendosi in Parlamento nel 1864 le leggi straordinarie contro il brigantaggio, l'intervento di Bixio fu interrotto ad un certo punto da grida di le fucilazioni! , con probabile allusione a Bronte. Bixio ribatté: ce Né... mi ai interrompa parlando di fucila­zioni, in quanto che, e se la Camera vuole accertarsene, si pubblichino i documenti della commissione d'inchiesta, come si sarebbe dovuto fare, fui io quasi solo in seno alla com­missione che mi pronunciai contro la pena di morte. Io non domando la morte contro chi nuoce al proprio paese; domando che sia messo in condizione di non poter continuare a nuocergli. Non credo che si abbia diritto ad ucciderlo ma indubbiamente si ha diritto di farlo stare al suo posto, di far si che non sia un elemento di disordine continuo .
Secondo esempio. Siamo al 1867, nei giorni di Mentana: il generale Bixio a Brescia riceve l'ordine di impiegare i suoi soldati nella repressione di eventuali disordini e, in proposito, egli scrive alla moglie: e Ho raccolto tutta l'ufficialità e ho detto loro che io intendeva sapessero ben chiaro che fossero pronti a obbedire alle richieste che farei loro per secondare l'autorità civile ma che sapessero bene ch'io non permetteva loro di valersi delle armi, ed in nessun caso avrei permesso che si facesse fuoco, che anzi non dovessero i soldati avere cartucce con loro, e una minuta rivista d'armi voleva mi assicurasse che nessun fucile fosse caricato e caricabile ... .
Ve n'è abbastanza, ci sembra, per affermare che Nino Bixio non fu davvero quel sa­dico amante della violenza, quel feroce aguzzino che si è voluto dipingere. Ciò non signi­fica che Bixio fosse un carattere facile e non avesse difetti. Tutt'altro, ma, più che un vio­lento, egli era un iracondo: dall'ira, nei momenti di tensione, si lasciava troppo facilmente accecare e trascinare ad eccessi, di cui egli stesso doveva tosto pentirsi. Mino Milani, da storico imparziale, lo riconosce, ed analizza alcuni di quegli episodi: da quello del caporale Piona sul Lombardo in navigazione, a quello, il più grave, a bordo del vapore Elettrico nel golfo di Paola. Episodi deplorevoli, certo, ma che sul piano storico hanno scarsa rilevanza. Concludendo, quest'ultima fatica di Mino Milani si segnala per il suo carattere di stadio serio ed equilibrato, al quale non si può che augurare la massima diffusione, non solo e non tanto fra gli addetti ai lavori quanto anche fra i lettori comuni. A raddriz­zare certe idee, divenuto di moda e recepite acriticamente, non potrà che giovare il confronto diretto fra un lavoro propriamente storico, in cui nessuna affermazione è priva del neces­sario supporto documentario, ed altre più disinvolte biografie in cui le fonti risultano artifi­ciosamente manipolate e integrate dalla fantasia per ottenere IV effetto . In aggiunta, questo Maddaìoni è di scorrevolissima lettura, favorita da uno stile limpido, del tutto esente da retorica, ma adeguato al tema; giacché il Milani, oltre al resto, è scrittore di razza, e questo volume ne costituisce la prova più recente.
ELENA. SANESI