Rassegna storica del Risorgimento

anno <1978>   pagina <474>
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Libri e periodici
mons. Pellizzari infatti diede impulso all'associazionismo economico, giovandosi di sue pre­cedenti esperienze padovane, e pur non mancando di condannare gli aspetti antireligiosi del socialismo in ascesa, assunse sovente una posizione di dura condanna contro la gestione borghese della proprietà, responsabile delle misere condizioni delle plebi campagnole (di cui fanno fede gli atti delle visite pastorali). Interessante notare come nelle elezioni del 1913 solo uno dei deputali moderati gentilonizzati fu confermato, mentre molti voti cattolici andarono al demoliberale Pallastrelli e anche al socialista Mazzoni.
Il carteggio tra Giacomo Dalla Chiesa ed Ersilio Menzani offre soprattutto alcuni spunti conoscitivi riguardo alla personalità religiosa del pontefice e alle capacità a diplo­matiche del futuro vescovo di Piacenza. Invece il contributo su mons. Menzani e il fasci smo, oltre a fornire una serie di notizie biografiche relative al presule, offre l'occasione di interessanti considerazioni in merito al problema dei rapporti tra chiese locali, movimento fascista e regime fascista. L'autore documenta parecchi episodi di violenza compiuta ai danni di preti e laici impegnati nel partito popolare; il vescovo ne prese atto con a lettere consolatorie ai colpiti, con esortazioni alla prudenza, con proteste rispettose presso le autorità, consentendo altresì al settimanale cattolico diocesano di esprimere forti polemiche antifasciste. Ma dopo il 28 ottobre 1922, mentre il coraggioso Gregori, direttore del Nuovo Giornale, era costretto alle dimissioni, monsignor Menzani si manifestava sempre più pro­penso alla ce conciliazione , ed esprimeva apertamente il suo compiacimento ai gerarchi fascisti che, intervenendo a riti e cerimonie religiose e invitandolo a solennità civili, mo­stravano di voler incorporare formalmente la Chiesa nel ce nuovo ordine . Al di là della abilità diplomatica, esercitata a fini difensivi immediati, appare determinante nel vescovo (e Molinari lo sottolinea) l'intenzione di tener conto dell'atteggiamento della Sede Romana, la cui guida politica in questo momento conferma il ruolo di primate d'Italia, assunto dal Papa dall'Unità in poi.
Mi chiedo tuttavia, ricordando molti spunti offerti dal convegno di Torreglia del marzo scorso, se il Menzani non risentisse anche degli umori di larghi settori del mondo cattolico locale, che nel fascismo regime (e già prima nel leader piacentino Barbiel-lmi-Amidei) scorgevano non solo una garanzia generica di ordine, ma anche una prospet­tiva di maggiore spazio nella società civile; uno spazio cui ritenevano di aver diritto dopo la scelta nazionale compiuta negli anni precedenti. Tale prospettiva, già combattuta e dai liberali e dai socialisti (e agli occhi di questi cattolici, congelata nel partito po­polare), si sarebbe in certa misura realizzata nel ventennio successivo: ma legata com'era al privilegio e condizionata in una cornice di compromesso, avrebbe dato luogo a risultati ambigui, e per più rispetti precarii.
MARIO BELAROINELLI
MARIA GARBARI, L'età giolittiana nelle lettere di Scipio Sigitele (Collana di monografie edita dalla Società di studi trentini di scienze storiche, 29); Trento, Società di studi tren­tini di scienze storiche, 1977, in 8, pp. 284. S.p.
Non è certo una novità studiare un'epoca densa di significato e di avvenimenti attra­verso gli epistolari e specialmente le familiares di personaggi che ne furono gli attenti osservatori; Maria Garbari ha usato questo metodo per Scipio Sighele (1868-1913), figura che aveva già illustrato in questa Rassegna (ce II pensiero politico di S.S. , 1974, pp. 391-426, 523-561). Attraverso le lettere ci mostra altri aspetti dell'uomo, non limitati a quelli di un irredentista in servizio permanente effettivo, come appare dalla letteratura di stampo celebrativo; la scelta della Garbari tende ad evidenziare l'acutezza dì giudizio del Sighele e le sue varie vicende umane; che se costanti e tenacissimi furono l'amore per la terra d'ori­gine (lombardo di nascita, fu, però, sempre legato al Trentino, dove si recò regolarmente a villeggiare a Nago, presso Riva del Garda, finché non fu sfrattato dal Governo austriaco nel 1912) e i suoi familiari (senza figli riversò tutte le sue aspettative sul nipote Gualtiero Castellini, d'ingegno precocissimo, che guidò nei suoi primi passi giornalistici e politici), mutevoli furono i suoi amorì in politica. Aderì fra i primi al Movimento Nazionalista, che considerava logico sviluppo del suo irredentismo; partecipò al Congresso nazionalista del