Rassegna storica del Risorgimento
GRAN BRETAGNA POLITICA ESTERA 1848
anno
<
1979
>
pagina
<
16
>
Franco Valsecchi
della evoluzione, senza i pericoli del sovvertimento; la cieca repressione reazio* naria fa il gioco della rivoluzione.
Reazione e rivoluzione, dunque, come fattori, come sviluppi interdipendenti. Che costituiscono, ambedue, una minaccia per quel principio d'equilibrio col quale si identifica la politica inglese. Un trionfo della reazione in Italia significherebbe il rafforzamento e la consacrazione definitiva dell'egemonia austriaca nella penisola, al di là dei limiti posti dagli stessi trattati di Vienna: l'occupazione austriaca di Ferrara e delle Legazioni pontificie ne ha fornito 1 esempio. La terza via liberale e riformatrice, invece, porterebbe ad una solidarietà, ad una naturale alleanza fra gli Stati italiani, che verrebbe ad equilibrare, a ridimensionare l'egemonia austriaca in Italia.
E ad equilibrare, a ridimensionare l'altro incombente pericolo: le mire francesi sull'Italia. La Seconda Repubblica, sorta dalla rivoluzione parigina di febbraio, porta in sé la carica messianica delle sue origini rivoluzionarie. La Francia si esalta al ruolo ritrovato di grande nation, faro e guida dei popoli sulla via del progresso; e nella missione di portatrice del verbo democratico sente l'orgoglio di un primato civile e politico, che il sistema del 1815 ha mortificato. La Seconda Repubblica rappresenta cosi, per l'assetto italiano, una duplice minaccia: quella di indirizzare l'assetto italiano nella direzione rivoluzionaria, quella di affermare, sotto la bandiera democratica, la ripresa dell'espansione francese nella penisola.
Ma avviene, per la repubblica democratica, quel ch'è avvenuto per la monarchia costituzionale di Luigi Filippo: l'impulso originario si attenua, la responsabilità di governo induce i reggitori della Francia repubblicana a un più cauto realismo. Già nella circolare di Lamartine ai rappresentanti della repubblica presso le Potenze europee, pubblicata sul Moniteur quasi come il manifesto del nuovo corso della politica estera, traspare la contraddizione fra la spinta delle ideologie e le esigenze della ragion politica. La repubblica doveva presentarsi ai popoli d'Europa come l'alfiere della libertà comune; ma l'interesse del paese imponeva di rassicurare i governi sulle intenzioni pacifiche del nuovo regime. Così, da una parte, Lamartine si presenta come il campione della democrazia; dichiara che i trattati del 1815 non hanno più alcuna giustificazione agli occhi della repubblica francese >; promette la tutela della Francia rivoluzionaria alle nazionalità oppresse , invia la sua parola di solidarietà all'Italia. D'altra parte, porge all'Europa conservatrice il ramo d'ulivo, assicura che < le disposizioni territoriali dei trattati del 1815 verranno rispettate, che la Francia repubblicana rinnega ogni guerra d'aggressione come una tentazione cesaristica . E non eran che gli esordi. La nota realistica si accentuerà sempre più. Finché non sopravverrà Luigi Bonaparte, a porre in altri termini il problema.
La politica di Palmerston, dopo il primo allarme suscitato dalla rivoluzione in Francia e dalle conseguenze che pareva ne dovessero derivare, inclina sempre più verso la soluzione autonoma del problema italiano. Vagheggia, Palmerston, una revisione dello status quo italiano che riduca il più possibile, o addirittura elimini, la presenza austriaca in Italia. L'Austria resta sempre ai suoi occhi un elemento essenziale dell'equilibrio europeo. Deve quindi conservare intatto il suo peso nella bilancia europea. Ma appunto per questo deve rinunciare all'Italia, a quell'Italia che è, per Vienna, un elemento di debolezza, non di forza : che e, per Vienna, il tallone d'Achille, non lo scudo d'Ajace , secondo la sua battuta famosa.
Un'Italia, insomma, il più possibile autonoma, sottratta all'egemonia austriaca