Rassegna storica del Risorgimento

ITALIA STORIA 1896-1900; STORIOGRAFIA ITALIA
anno <1979>   pagina <56>
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Anna Maria Isastia
Assai vario era poi il panorama delle forze moderate non rigidamente orga­nizzate che andavano dai gruppi industriali del nord agli agrari del sud, legati gli uni e gli altri alla difesa di interessi settoriali ed incapaci di una visione politica più ampia quale invece dimostravano di avere la nuova borghesia indu­striale e la generazione degli uomini politici più giovani, tecnicamente e animi* nistrativamente ben preparati e completamente estranei allo spirito risorgimen­tale.
Le vecchie e le nuove forze, la superata realtà ottocentesca e quella nuova in divenire raggiunsero il punto di collusione negli anni che precedettero la fine del secolo. Coi tumulti del '98 non esplosero solo la miseria e la rabbia impo­tente di tanti emarginati, ma si rese evidente il malessere di parte della popo­lazione che si sentiva relegata al di fuori della vita politica, le cui esigenze veni­vano sistematicamente eluse e coartate dalla ristretta classe che deteneva il po­tere e che, grazie ad esso, poteva facilmente difendere i propri privilegi stron­cando sul nascere ogni serio tentativo riformatore della cui necessità alcuni erano pur consapevoli. Basti pensare al progetto dell'imposta progressiva sui redditi di Giolitti o ai tanti contrastati programmi riformisti del binomio Luzzatti-Rudinì. Su questa realtà di fatto si innestava l'azione delle forze cattoliche e socialiste volte allo scardinamento degli ordinamenti esistenti e all'abbattimento dello Stato liberale.
Di fronte ai tumulti le consorterie si sentirono apertamente minacciate e invece di analizzare le cause che avevano condotto a questi sussulti di violenza irrazionale, ritennero di poter ricorrere impunemente ad una reazione indi­scriminata processando, condannando, limitando le guarentigie di libertà garan­tite dallo Statuto, con lo scopo dichiarato di stroncare qualsiasi tipo di opposi­zione. Battaglia vana che, dopo una illusione di facile vittoria, portò invece al tracollo quella minoranza che aveva fatto quadrato, per difendere i propri pri­vilegi, contro la maggioranza del paese.
Sarebbe stato Giolitti ad adottare la tecnica giusta: allargare progressiva­mente l'area del potere facendo proprie le istanze minime delle nuove forze, inserendole così lentamente nel sistema e neutralizzandone le spinte eversive più pericolose.
I governanti di fine secolo invece non si resero conto che la crisi era determinata dalla crescita politica e sociale del paese; lo stato di squilibrio era provocato dalla necessità oggettiva e improcrastinabile del passaggio da un libe­ralismo oligarchico ad un regime politico più aperto e progressivo. Attaccarono a fondo cattolici e socialisti tentando solo il recupero di quelle frange cattoliche moderate e conservatrici più facilmente assimilabili di fronte alla comune paura del pericolo rosso.
Questi anni di violente tensioni, culminati con un tentativo di aperta rea­zione, ebbero invece un risultato per molti inatteso. Tramontò la vecchia classe dirigente e il primo sintomo di questo mutamento lo si ebbe a Milano, dove, nelle elezioni amministrative del 1899, vennero sconfitti gli uomini della con­sorteria, quelli che maggiormente avevano premuto sul governo spingendolo a misure di rigore, e Palazzo Marino passò alla Sinistra. La tendenza venne con­fermata nelle elezioni generali politiche del 1900 che videro scemare di molto il numero dei seggi della vecchia maggioranza, a tutto vantaggio di quei gruppi politici che si erano opposti alle proposte reazionarie di Pelloux e di Sonnino. Ma la modifica del quadro politico andò ben al di là del risultato nume­rico. Nell'area moderata si defini meglio il distacco dei reazionari dai conservatori e questi si differenziarono più nettamente dai liberali legati a