Rassegna storica del Risorgimento

GIORNALI MOSTRE; ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA PERIODICI
anno <1979>   pagina <78>
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Libri e periodici
nismi demografici del movimento naturale di popolazione nel Regno di Napoli tra '700 e "800, finché l'integrazione capitalistica dell'Italia meridionale e remigrazione non giunge­ranno ad incidere profondamente sull'insieme delle strutture produttive e demografiche. Un conforto alla propria tesi, e quindi della giustezza del modello di interpretazione elaborato il Delille lo ricava anche da studi effettuati sulla natalità nelle società industriali ad alta produttività o da altri aventi per oggetto popolazioni preistoriche dell'Europa occidentale o popoli primitivi (G. TILLON, Le harem et les cousins, Paris, 1966; M. GODELIER, JJori-zon, trajets, marxistes, en entropologie, Paris, 1973; B. LEE -1. DEVORE, Man the Runter, Chicago, 1968). Resta, però, da chiarire che per il Delille la produttività non coincide con il rendimento (il problema era stato affrontato, sotto la spinta di J. Meuvret, in numerosi interventi alla IH Conferenza Internazionale di storia economica di Munich del 1965), come in genere dagli storici dell'età moderna si tende a fare. Ben a ragione, a nostro avviso, il Delille evidenzia i fattori che la condizionano: il tipo di inserimento nel flusso degli scambi (ad esempio questo, a differenza che per la Francia, per il Regno di Napoli non ha mai favorito le colture arbustive e neppure tra l'800 e il '900: con tutto quello che ne consegue sul piano degli investimenti), il lavoro impiegato (il valore massimo di esso - e il Delille effettua ima analisi differenziata per zone a colture agrarie diverse: grano-starza di Mondragone in Terra di Lavoro; vigneto-starza di Castiglione Marittimo in Calabria Cite­riore; olivo-proprietà della Petrizia presso Catanzaro è dato dal massimo delle giornate lavorative ed il valore minimo dal loro numero nei momenti cruciali delle operazioni agri­cole: è questo secondo risultato ad indicare il livello medio della produttività). Dato questo significato al concetto di produttività, per tutti e tre i secoli ('600-'700-'800), l'agricoltura dell'Italia Meridionale risulta essere scarsamente produttiva, quale che sia il valore della produzione. A differenza delle campagne del Nord-Ovest dell'Europa, le quali conoscono già dal '600 un basso rapporto tra allevamento bovino ed equino e superficie coltivata (e il Delille cita gli studi di Slicher Van Bath, di J. Jacquart), si da permettere la fusione tra piccola proprietà e allevamento, quelle del Mezzogiorno d'Italia, date le condizioni ambien­tali diverse macchia bassa, forti siccità ecc. mancano di quella <c forza capitale che valeva da sola 10 volte quella di tutti gli europei riuniti (e qui Delille ricorda il Braudel di CivUuation matérielle et capitalisme): il contrasto nella delineazione dei rendimenti in agricoltura tra studiosi di realtà nordeuropee, come il Van Bath, che parla appunto di mi­gliori rese, e quelli di zone e paesi del Mediterraneo meridionale, come E. Le Roy Ladurie, M. Aymard che evidenziano la loro secolare stabilità, hanno alla base proprio questa diver­sità di produttività dei diversi sistemi. L'inchiesta Jacini e quella parlamentare sulle con­dizioni dei contadini nelle provincie meridionali degli inizi del '900 dovevano rivelare ancora la presenza di una piccola proprietà caratterizzata da mancanza di animali da lavoro, ma con a disposizione un'ampia quantità di lavoro umano, il cui reddito era inferiore al prezzo del grano Il mancato progresso ha, come conseguenza, la non liberazione degli uomini dal settore delle colture estensive, quali quelle cerealicole. ,
Partendo da questo impianto generale, sulla base di alcune indicazioni del Van Bath per 31 quale, nelle agricolture dei paesi europei non ancora solleticate dal progresso tecnico, esiste una stretta correlazione tra numero di braccia di cui la famiglia contadina può disporre e superficie che questa, nei momenti di massimo lavoro agricolo, può colti­vare, Delille analizza gli specifici comportamenti demografici in tre zone del regno di Na­poli nell'età del Risorgimento, contigue si, ma altrettanto diverse tra di loro, situate tutte tra Napoli e la piana di Eboli: ma c'è da dire che i raffronti con altre regioni del Regno è costante e continuo. Ed ecco la zona collinare alle spalle di Salerno, dove prevale il semi­nativo arbustato, la piccola e media proprietà; una seconda, piana, a sud-est del Vesuvio, cerealicola, con forte presenza della grande proprietà feudale e borghese e di un vasto bracciantato, sensibile alle variazioni dei prezzi e del mercato; ed una terza, costiera, l'amal­fitana, a colture specializzate (vigna, agrumi) con proprietà bracciantile più estesa, anche se non mancano grossi proprietari, sensibile pur essa alle variazioni dei prezzi e del mer­cato. Ebbene, che tipo di andamento demografico caratterizza queste tre zone tra loro così diverse? Delille lo individua in medi tassi di natalità (32-35 /oo) e mortalità (20 /0Q)