Rassegna storica del Risorgimento
GIORNALI MOSTRE; ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA PERIODICI
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1979
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125
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Vita dell'Istituto
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da Alberto Sorniani e Guido Martinelli, con spirito innovatore negli ideali liberali. Il prof. Berti opina che la fedeltà dell'elettorato betlolese al Fabri vada cercata nel contatto dell'avvocato con quelle popolazioni per motivi di difesa delle loro proprietà terriere e di ricorsi amministrativi; altro fattore importante di fiducia, oltre l'abilità forense, fu la sua profonda umanità e la rettitudine, sostegno del suo senso disinteressato per la giustizia.
Ebbe molta popolarità con la partecipazione a due processi locali: la vertenza tra il Cavallotti e l'avvocato Zinzani, difeso dal Fabri, e la difesa di dodici curati, nel 1895, contro don Paolo Muraglia, un prete siciliano che aveva tentato un movimento separatista nella chiesa piacentina.
Benché sedesse a destra in Parlamento comprese le ragioni del socialismo riscuotendo nei suoi discorsi i consensi della sinistra, criticando la politica quietista e assenteista di Giolitti e l'agnosticismo dello Stato rispetto la questione operaia. Invocò una legge (ecco una sua " attualità ") che disciplinasse i sindacati. Fu sottosegretario al Ministero di grazia e giustizia durante il ministero Sonnino (1909-1910). Fu nominato senatore nel 1914 e rieletto tale dopo la guerra fino al 1951. Era stato in contatti costanti col C.L.N. locale.
Il comportamento di tutta la sua vita, ha concluso il prof. Berti, è dominato dall'idea di libertà e dalla fedeltà alla tradizione liberale piacentina.
La relazione del m Ettore Carrà " Un carcere per reati politici a Piacenza in età napoleonica " era a tesi: " le dittature hanno problemi identici e il meccanismo della repressione non può che essere della stessa specie *
Nella dittatura militare napoleonica v'è un antefatto di quella fascista: polizia segreta capillare, controllo dell'editoria e degli spettacoli, dei giornali, violazione del segreto epistolare, oppositori sottoposti a regime di polizia. È un aspetto negativo nelle utili riforme in campo civile-istituzionale portate dalla rivoluzione francese.
Nei ducati di Parma e Piacenza dal 1806 al 1808 furono governatori il generale Junot e il maresciallo Perignon, ai quali spettava il giudizio di "alta polizia " riservato ai dissidenti per i quali fu aperto nell'ex convento di S. Sepolcro un carcere per tenerli distinti dai carcerati comuni. Vi furono rinchiusi 93 individui tra piacentini e parmensi, nel 1810, nel 1812 gli ultimi prigionieri politici, quei " preti romani " trasferiti a Piacenza dall'ex Stato pontificio, per non aver voluto giurare " fedeltà alla Costituzione dell'Impero e all'Imperatore "; erano 122.
Il Carrà ha esemplificato citando il caso di due " asociali " che viveano di espedienti e di furti. Poiché non era pervenuta denuncia contro di loro il caso fu portato all'Alta Polizìa; si tendeva a far coincidere dissidenza politica con delinquenza comune. È il caso di un prete, Luigi Malaspina, da Borgotaro, sospettato di aver imbrattato una effige dell'Imperatore. Si mise in evidenza che era dedito al gioco, sicché passava " nella taverna il giorno e la notte nel gioco " e fu rinchiuso in S. Sepolcro. Perfino il numero dei componenti le Commissioni di polizia dei periodo fascista e della dominazione francese coincidono, nota concludendo il Carrà.
La dott. Alida Zanardelli relatrice della quarta comunicazione, Il complesso bandistico piacentino dal 1857 al 1866, ha tratto il materiale scientifico dalla sua tesi di laurea dello stesso titolo. È il primo studio dettagliato su un'attività musicale popolare in genere negletta nelle trattazioni storiche salvo la scarsa bibliografia specialmente italiana pur pregevole. La Zanardelli ha consultato gli archivi municipali e i giornali dell'epoca riuscendo a delineare un quadro eloquente di vita cittadina.
L'autore di Gioconda diede un tale impulso alla banda piacentina da confermare l'auspicio del sindaco Giacomelli di farne un " decoro " per la città. Ma le necessità di una vita decorosa non attuabile con lo scarso stipendio lo costrinsero a dimettersi nel 1864, accettando il posto di direttore della banda di Cremona.
La banda piacentina, diminuiti i musicanti, fu affidata al piacentino Giuseppe Schiavi con paga ridotta a 600 lire e perse il carattere di professionalità impressole dal Pon-chielli.
Dante Rabitti