Rassegna storica del Risorgimento

REPUBBLICA CISALPINA 1797-1799-- 1800-1802; REPUBBLICA ROMANA 1
anno <1979>   pagina <140>
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Giovanna Troiai
Motivi strategici dunque e motivi economici. Delle comunità reclamate dalla Cisalpina, infatti, quelle poste sul versante sinistro del Foglia, come Monte Giceardo presso le sorgenti dell'Arzilla, Ginestreto, Monbaroccio, Candelora, Novi-lara, Tavoleto, erano antichi castelli, situati in ottima posizione di difesa. Per questo motivo già nel Medioevo erano stati oggetto di contesa fra i signori di Pesaro, i duchi di Urbino e la città di Fano. Non solo; queste comunità sorge­vano tutte in territorio assai fertile e adatto a colture quali quella della vite, dell'olivo, di cereali e di frutta in genere. Esse interessavano dunque la Cisal­pina anche e, forse, soprattutto, in quanto naturale entroterra agricolo di Pe­saro. Le comunità che erano poste sul versante destro del Foglia, come Belforte, Sassocorvaro e Frontino, nella valle del Mutino, erano tutte situate nella fertile e ricca zona del Montefeltro, il cui centro principale era ed è San Leo.
La discussione nasceva in loco per la sistemazione dei cippi di confine e si sviluppava con un intenso carteggio tra i due ministeri degli esteri. Le auto­rità romane si opponevano alle rivendicazioni cisalpine asserendo che i terri­tori in questione erano stati inclusi nel confine romano dai commissari fran­cesi, come risultava dalla Legge per la divisione della Repubblica Romana > del 21 Germile anno VI.4" Secondo tale documento, i confini dovevano essere fissati su una linea che, partendo dal mar Adriatico in un punto posto tra Pesaro e Fano, giungeva alla comunità di S. Martino passando per Novilara, Candelara. Sant'Angelo, Monte Gaudio, Urbino, Paganica e Zubettole. Tutte queste comunità e quelle a sud della linea suddetta avrebbero dovuto appartenere allo Stato ro­mano. I cisalpini replicavano che i commissari francesi, nel delimitare il con­fine romano, erano stati evidentemente spinti all'equivoco con la frode. Del resto, una spartizione del territorio del Pesarese avrebbe creato, secondo il Birago, gravi disordini, in quanto abitanti della zona in possesso di fendi nel territorio distaccato sarebbero stati sottoposti a una doppia giurisdizione.43'
Nel mese di aprile la situazione cominciò, a diventare molto tesa e si pro­pose dal ministro Bremond di affidare la soluzione del problema a quattro com­missari, due romani e due cisalpini, che, valutata e discussa in loco la situazione dei confini esistente, avrebbero reso eventualmente possibile una nuova demar­cazione. Pesaro, intanto, era in agitazione: alcuni elementi sediziosi tentavano di stabilire accordi con le autorità romane per vendere il territorio di Pesaro e di San Leo alla Repubblica romana. La notizia veniva riportata nel Moni* tore Romano. Domenico Spadoni, attento studioso dell'unionismo romano, si fondò su tale notizia per dimostrare come dopo la democratizzazione dell'ex Stato della Chiesa fossero cessate, per le municipalità della Marca, i motivi di disunione con Roma e si fosse sviluppata, anzi, intorno alla città una rinnovata coscienza di italianità.46' L'importanza della notizia cui si accennava sembra
4n Collezione di corte pubbliche, proclami, ragionamenti ed altre produzioni tendenti a consolidare la rigenerata Repubblica romana, Roma. Per il cittadino Luigi Perego Sal-viorù, 1798-1799.
42) A.S.M., Archivio Testi, cart. 1, f. 129, 17 termidoro, anno VI.
43> Ivi, cart. 1, f. 112. Storta della vertenza,
**> Ivi, cart. 1, f. 77. Rapporto del Ministro degli Affari Esteri al Direttorio Esecu­tivo, Milano, 26 germinale, anno VI.
* Ivi, cart. 1, f. 93. Léchi, General de Brigade, Comandante le truppe della Romagna al Ministro della Guerra, Ri mini, 30 fiorile, anno VI.
*> Cfr. D. SPADONI, Aspirazioni nazionali unitarie nello Stato Romano dal 1796 al 1799, in Nuova rivista storica, a. XXXII (1938), fase. MI, pn. 64-87.