Rassegna storica del Risorgimento
MASSARI GIUSEPPE OPERE; STORIOGRAFIA ITALIA; VITTORIO EMANUELE
anno
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1980
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pagina
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37
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Le fonti di Giuseppe Massari 37
Quando Massari tratta della Convenzione di settembre non gli pare girato soffermarsi snl risentimento del Re per aver saputo delle trattative e, soprattutto, del trasferimento della Capitale a cose fatte; afferma, anzi, il contrario.8,) Per questo ha trascurato alcune frasi di Menabrea sui rapporti Minghetti-Sovrano, che servono di esempio per illustrare il carattere di Vittorio Emanuele II.
Darà anzitutto qualche cenno dello spirito, della perspicacia e del carattere del Re. Alcuni de1 vostri amici (ed anche miei quanti méme) considerarono il Re come un uomo debonario di mente limitata, poco curante degli affari correnti dello Stato e fatto soltanto per apporre la sua firma agli atti de1 suoi ministri. Ciò fu un grande errore. Io che lo ho molto frequentato ho visto pochi uomini avere una finezza, una perspicacia maggiore. Egli era, in grado eminente conoscitore del cuore umano, e nessuno de" pregi e de* difetti di quelli che lo circondavano sfuggiva alla sua mente. Egli sapeva servirsi degli individui per quello che valevano e questa fu la grande sua arte. Sopportava i capricci anche le ingratitudini; ma egli aveva gran sentimento della propria dignità e difficilmente perdo* nava a chi dimenticava che egli era Re, ed a chi mostrava non tenere conto delle sue prerogative. Ne fu una prova il Minghetti quando nel 1864 fece la convenzione pel trasporto della capitale all'insaputa del maggior numero de' suoi colleghi (di me fra altri che la seppi dall'Imperatore stesso a Vichy) e specialmente del Re. Per lunghi anni Vittorio Emanuele tenne rancore al Minghetti per questa mancanza di riguardi e quando nel 1869 un partito si era organizzato alla Camera per far rientrare Minghetti al Mini" stero, io durai molta fatica a fare acconsentire il Re ad accettarlo; aveva sempre il manet alta mente re post um e te; io credo che dopo gli abbia perdonato perché era essenzialmente buono; ma fu ferito perché il Minghetti aveva dubitato di lui e lo aveva preso per cosi dire per sorpresa. Il Re lasciava i suoi ministri agire; ma ne' momenti supremi egli sapeva intervenire e quando i ministri avevano qualche difficoltà da sciogliere il Re si riservava di dare il proprio consiglio, e questo era sempre il migliore, come ne ebbi io stesso rocca-sione, più volte, di farne la prova e specialmente in un viaggio a Napoli dóve si trattava di dare un'amnistia che non era senza pericolo. Il Re scriveva lettere bellissime e piene di brio.
Restiamo in ambiente militare per parlare dell'armistizio del 1866, sul quale una delle fonti di Massari è Menabrea.82) Una delle fonti, perché il Savoiardo non riferisce lo scambio di battute nell'incontro a tre con il Re e con La Marmora; scrive, invece, un giudizio su quest'ultimo, che vale la pena di leggere, perché non è stato riprodotto:
La Marmora (di lui io non fui mai adulatore e che perciò non mi amava) fu in quel giorno, o per meglio dire in quella sera, sublime di amor patrio, malgrado il dolore che egli provava per avere veduto sfuggirgli a Custoza la vittoria che egli riteneva per certa. Il Re non fu meno grande e non sentii da lui ima parola di risentimento contro chichessia. La Marmora potè allora accorgersi cosa sono gli adulatori, imperocché egli dopo Custoza fu abbandonato da essi. Gli rimasero fedeli solo pochi amici.
Al 1866 si riferiscono anche alcune frasi del gen. Pianell che Massari non cita forse perché la sua lettera iniziava coll'affermarer Suppongo che io fossi un'incognita per lui, ed io posso dire di averlo assai poco conosciuto . Comunque, dopo Custoza, vide capitare il Re al Quartier Generale della sua Divisione e un ufficiale portargli un telegramma di Napoleone HI. Allora il Re con frasi soldatesche e caratteristiche, che assai mi duole non potere ripetere nella loro
81) Cap. LXXii. Il brano che cito è parzialmente edito in L. F. MENABREA, op. cit.H p. 186 n.
82) Cap. LXXVIL