Rassegna storica del Risorgimento
PECCHIO GIUSEPPE SCRITTI
anno
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1980
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Aldo Garosa
fu consacrato dallo Spielberg. Più savi in questo dell'Austria, i Borboni e i Savoia liquidarono i capi dei pronunciamenti, ma lasciarono esulare gli altri.
È questo il destino simbolico della generazione del '21; a differenza di quella del '31, che fu quasi per intero in prima fila nella storia ulteriore dell'unità, non molti furono gli uomini di quella avvenutura ricuperati alla ulteriore storia italiana o europea; reduci rimpatriati per grazia, come Roberto d'Azeglio, o tornati, come il Radice o il Beolchi, in patria dopo il '48; taluni fra i più longevi (e emigrati più lontano) come l'Avezzana, giunti a prender qualche parte alle vicende della sinistra garibaldina, e parecchi di loro rimasti dalla parte perdente della sinistra, senza fondersi nel grande crogiolo del rinnovamento mazziniano né della trama cavouriana. Qualche brillante carriera all'estero, come quella del Pa-nizzi (o, risalendo addirittura ai reduci dell'avventura napoleonica, del Rossi); ma, insomma, l'unico degli uomini, se non totalmente coinvolti, più che sfiorati dal '21, messi in posizione decisiva per la causa italiana nel '48 fu Cesare Balbo, la cui stella rapidamente tramontò. Insomma, Piato tra la generazione del '21, sacrificata proprio per aver cercato di precorrere, insieme con Napoli e la Spagna, la grande rivolta contro la Santa Alleanza e il moto risorgimentale affermato e vittorioso, fu, in generale, troppo grande per permettere a coloro che vi appartennero, di tornare sulla scena politica a recitarvi una parte attiva e decisiva: tutt'al contrario che per quella del 1831.
Entro questa visione si colloca il giudizio che dà del Pecchio il diligente raccoglitore e nuovo editore dei suoi Scritti politici, il Bernardelli, in un volume che temiamo, ahimé, troppo ampio per il grande pubblico, ma che dovrebbe trovare attenzione tra gli studiosi, se tra essi si fosse conservato quel gusto della storia viva, che è fatta non solo dalle statistiche ma dalle persone (portatrici, intendiamoci, di tutte le istanze , o le idee e gli interessi che si vorranno, ma sempre persone attraverso le quali passano i bisogni e gli ideali, e sulle cui gambe cammina tutto, compreso la storia nazionale e quella delle classi).
E il Bernardelli, con molto buon senso, nel confronto con i più tra i freddi eruditi dell'inizio del secolo, che quasi nulla sapevano di ciò che siano le angustie e gli assurdi di ogni cospirazione, e su di essi sentenziavano, ricostruisce, per quanto si può ricostruire quel moto febbrile e stroncato, l'entusiastica e rischiosa attività del Pecchio nel farsi tramite fra i militari piemontesi, Carlo Alberto compreso, e i federati lombardi. Attività certo avventata, tipicamente giovanile (e di giovani delle classi alte, che serba un certo epicureismo e cura anche di non piombare, quando gli si apre dinanzi l'esilio, nell'immediato bisogno); ma nell'assieme generoso e idealmente convinta dell'incarnarsi dell'eterna libertà nella costituzione di Spagna .
In ciò il Pecchio fa, forse più degli altri, significativo; era un continuatore diretto (come il Romagnosi) di quella Milano del Regno Italico, che poi alimentò, per tanto tempo, con i suoi ricordi, l'autonomismo lombardo legandolo ai tempi nuovi. A differenza del Confalonieri, per il quale Costituzione e indipendenza significavano polemica anche contro la soggezione al bonapartismo, il Pecchio era di quegli eredi della grande rivoluzione che provenivano direttamente dalla burocrazia del regno autonomo; i quali, a differenza così di coloro che alquanto passivamente aspettavano l'iniziativa piemontese, come dei più tardi autonomisti antisabaudi e antimonarchici (più antisabaudi che antimonarchici, se un Cattaneo
D GIUSEPPE PECCHIO, Scrìtti politici, a cura di PAOLO BERNARDELLI, Roma, Istituto per la storio del Risorgimento italiano, 1978, pp. XCV-584.