Rassegna storica del Risorgimento

PECCHIO GIUSEPPE SCRITTI
anno <1980>   pagina <135>
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Gli scritti di Pecchia
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come in. quelle a Lord Broughom era ben vista l'intensa vita del Regno italico; ma 1 odio contro il tradimento delle promesse costituzionali fatte al primo durante la campagna antinapoleonica e la perfìdia dell'Impero poi è qualcosa di assolu­tamente personale, che porta già il suggello di quella inconciliabilità che, contro tutte le razionali possibilità, permase duratura per tutto il decorso del tempo che separa Tetà del Pecchio dal '59 nelle classi elette italiane, e che fu costante al­leata delle soluzioni unitarie e liberali del problema italiano.
Già in questi saggi però, e specie in quelli spagnoli e portoghesi il Pecchio mostrò una qualità che doveva rendere durevoli e interessanti i suoi scritti. È una qualità di osservatore acuto, di uomo capace di cogliere il colore di una situa­zione e assieme di collegarla a una rapida generalizzazione, che mostra il talento del memorialista o, come oggi si direbbe, del giornalista (la parola fu adoperata per lui già nel 1913 da un personaggio che di questo genere di scrittura se ne intendeva, il Prezzolini, come nota il fìernardelli). Nella serie ispano-portoghese troviamo vivacissime osservazioni sul carattere spagnolo, il predominio delle pas­sioni primitive in una popolazione povera, ma fiera e incorrotta, e insieme le prime notazioni sui costumi regionali, sugli oratori, sui settecento generali spagnoli, sul carattere franco e fiero delle donne e dei loro amori;4) ma anche un bilancio attento delle forze costituzionali e delle avversarie steso con quella capacità semplificatrice che è propria anche delle opere economiche del Pecchio, e dal quale si conclude (come spesso avviene nel giornalismo) per la vittoria dei costituzionali, proprio per l'assenza di due piccole incognite che ha trascurate; la profondità dei sentimenti tradizionalisti delle plebi, l'intervento francese. Questo intervento in ispecie lo sorprende, perché non quadra con la sua imma­gine della Francia; ne è patrocinatore, con grande stupore del Pecchio (e collera degli Spagnoli illuminati: una dama madritena butta Atala nella spazzatura) un uomo del presente, lo Chateaubriand. Tanto sono difficili questi calcoli delle forze in campo, che sempre si fanno e sempre si faranno. E lo stesso sguardo acuto, indagatore si ritrova nel ritratto dell'Austria disegnato dal Pecchio, con il calcolo delle forze a sua disposizione. Per l'Austria, tutta ragion di stato, il calcolo appare più esatto di quello fatto per la Spagna. Gli Absburgo non vollero mai darsi in braccio ai loro patetici e entusiasti tradizionalisti: governarono in silenzio, ma con rigore inflessibile: e durarono.
Con l'altro opuscolo sulla Grecia nel 1825 ci troviamo già dinanzi a un Pec­chio in parte mutato, indurito dall'esilio e più scettico sulle virtù naturali dei popoli. Già nella sua missione in Grecia non v'è nulla del sentimento romantico che spinse a combattere colà il Santarosa e il Collegno (anche in Spagna, dove tanti furono gl'Italiani che combatterono, il Pecchio aveva fatto il politico e fre­quentato l'alta società), nulla anche di specificamente italiano; la sua fu una missione intrapresa per conto dei filelleni whigs britannici, con l'incarico di rimettere per loro sessantamila sterline al governo degli insorti; con lo scemare degli entusiasmi, anche le sue persuasioni sulla forza rispettiva dei popoli e della diplomazia si sono rovesciate; ai Greci, 'certo, converrebbe più una spartana re­pubblica che una costosa monarchia; ma le speranze della loro vittoria sono ormai tutte nella diplomazia europea, onde, per ottenere il bene prezioso dell'indipen­denza, fanno bene a accettare un re. La guerra stessa non è più del resto la guerra
4> Amano , scrive delle Spagnole, con la stessa franchezza che gli antichi Ro­mani portavano nell'amicizia; perciò non vi sono mai duelli, perché nessuno resta in dubbio se sia amato o no . Vede insomma le Spagnole un po' come Beyle le Italiane.