Rassegna storica del Risorgimento

PECCHIO GIUSEPPE SCRITTI
anno <1980>   pagina <136>
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Aldo Garosci
partigiana della prima rivolta antiturca, scontro di religioni, rivolta di clan, ani­mata dall'entusiasmo. È da un lato la guerra egiziana di Ibrahim, condotta con prudenza e metodicità europea, dall'altro la guerra dei capitani , diventati poco più di capitani di ventura nei confronti del governo (similmente i padroni di navi della flotta); per vincerla ci vogliono reggimenti addestrati all'europea, e altri di mercenari europei: quindi denaro, denaro e ancora denaro (questo motivo del costo delle guerre era echeggiato già nel suo giudizio sull'Austria).
Ma il memorialista, o il giornalista, si è, appunto perciò, affinato; coglie bene quella mescolanza di costumi turchi e di aspirazioni classiche o europee che è dei capi dell'insurrezione, l'inerzia e il valore, la ignoranza e la venerazione delle tradizioni elleniche. Non erano bastati due anni d'esilio a spegnere le sue aspirazioni, ma già in qualche modo si preannunziava quella che sarebbe stata la sua specifica attività dell'esilio.
Arrivando a Londra, il Pecchio aveva rimproverato al Foscolo di essersi per così dire straniato dalla politica attiva, per scrivere di letteratura nei giornali inglesi. Ma il Foscolo, quali possano essere stati i costumi che urtarono vuoi l'am­biente britannico vuoi quello dei proscritti, e che apparvero o appaiono scorret­tezze di inadattato, aveva intuito che la sua missione, in esilio come in patria era, senza venir meno alle sue convinzioni di nomo partecipe di ideali politici, era quella di essere se stesso, segnando un solco che altri non avrebbe potuto, nell'arte come nella critica anche in quegli anni sostanzialmente raminghi e dispe­rati. E ciò fece. E fece bene; e il suo famoso motto contro le sette ben s'intende quando si pensa alla ingloriosa caduta dèi primo regno italico e anche alla scarsa attitudine a operare dei superstiti notabili di quel regno, quale era il Pecchio.
Quando il Pecchio fu uscito dagli entusiasmi cospirativi; quando ebbe fatto per pochi anni l'insegnante d'italiano (nel 1828 un ricco matrimonio lo sistemò dal punto di vista economico), che cosa fece? Fece, essenzialmente, con le forze e le capacità che aveva, che erano essenzialmente di pubblicista, quel che aveva fatto il Foscolo: opera di critica e di diffusione, da un lato del pensiero italiano in Inghilterra, dall'altro verso l'Italia dalle idee che in Inghilterra stessa era venuto facendosi sulla società libera e i suoi problemi, in modo ben più complesso di come li aveva intrawisti, in un sognato avvenire a Milano o in Spagna.
Alle tre operette sull'Inghilterra, qui pubblicate (Un'elezione di membri del Parlamento... (1826) L'anno mille ottocento ventisei... (1827) Osservazioni semi­serie ... (1831)) corrisponde infatti, dal versante opposto, la Storia dell'economia pubblica in Italia, lavorata sulla classica edizione degli economisti intrapresa sotto il Regno italico dal Barone Custodi, e a cui è premessa un'avvertenza che rivendica la modernità della amministrazione introdotta dalla conquista napoleo­nica nelle Provincie italiane. Solo più tardi, dopo la brutta pettegola parentesi della vita foscoliana, cercherà, senza attingervi, la piena critica, dapprima nella ricordata opera che tenta di dimostrare la dipendenza della produzione di arte e di poesia dalle richieste di equilibrio economico tesi che merita di esser notata anzitutto perché, per la prima volta sostenuta come principio , mette capo a una negazione dell'arte che il prevalente economismo e ideologismo e benthamismo (insomma gl'ideali della tarda età napoleonica e della prima britan­nica) contenevano in sé ma non confessavano, arretrando dinanzi allo scandalo; e nella sua storia critica della poesia inglese, di cui devo confessare la mia igno­ranza, e di cui il Bernardelli scrive ohe non contribuisce ad aggiungere fama al nostro autore , giudizio severo, ma meno di quello del Capuccio nel profilo del Pecchio da lui introdotto nel volume dei Memorialisti della collezione Ricciardi.