Rassegna storica del Risorgimento
PECCHIO GIUSEPPE SCRITTI
anno
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1980
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pagina
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137
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Gli scritti di Pecchio
IBI
Confesso però di avere qualche esitazione nell'accettare questi pur autorevoli giudizi quando penso che il Croce, certo scrittore non incline a indulgenze, nella Storia della storiografia italiana, Bari, Laterza, 19 764 (I, p. 256), la giudicava invece scritta con buon senso e con arguzia e anzi coglieva spunto per riaffermare la nota sua tesi fondamentale della creatività poetica da un giudizio del Pecchio sullo Shakespeare, fenomeno letterario fuori di ogni proposizione della solita legge d'economia pubblica che pur regge molte volte le opere letterarie (e, ridotta in questi termini anche la tesi del Sino a qual punto... riesce non priva d'una sua verità, perché le opere di letteratura in cui il pregio estetico non è carattere dominante, dipendono certo in definitiva dal costume, cioè dai bisogni sociali).
Ma torniamo al Pecchio memorialista e politico, del quale nei tre scritti menzionati sull'Inghilterra si scorge, accanto al progresso dello scrittore, l'evolversi delle sue idee politiche. Nell'opuscolo sulla Elezione in Inghilterra, ovvio è lo scopo di presentare agli Italiani che vivevano sotto il governo assoluto da una parte il singolare spettacolo di libere scelte popolari del quale, da tre o piuttosto quattro secoli s'erano spente le tradizioni in Italia, ma assieme di fare l'apologia del governo libero, dei Whigs (che vinsero l'elezione di Nottigham, città manifatturiera, di cui egli parla, delle dottrine del libero scambio attorno alle quali si accentrava la loro campagna, della prosperità dell'Inghilterra e delle sue classi lavoratrici, di cui dipinge un quadro pieno di ammirazione, malgrado l'inizio di una crisi di sovraproduzione e la mancanza di previdenza dell'operaio inglese: ma ormai la procella è passata ). Questo l'aspetto politico dell'opuscolo, nel quale è pure una buona dose di avversione per i Tories reputati incorreggibili, pur dopo la morte del Castlereagh. Pure, malgrado tutto, l'ingegno di osservatore, di descrittore, di letterato che era nel Pecchio fa anche di questo suo opuscolo ima vivida pittura, tale da interessare anche il lettore d'oggi (che contempla, in quelle elezioni tenute prima del reform bill , in cui le parti avverse si scontrano a bandiere spiegate, azzurre per i Tories , arancione per Whigs , l'incontro singolare, allora più sensibile di oggi, delle vecchie libertà medievali cittadine con la moderna società industriale e parlamentare), e che al lettore italiano che fosse andato a leggerselo a Lugano, dove, come gli altri opuscoli lo stampava il Pecchio, doveva presentarsi non come un modello nel senso tecnico odierno, ma come un vivente e sollecitante esempio.
Anche l'altro opuscolo di cose inglesi (L'anno mille ottocentoventisei...) ha, all'origine, una chiara motivazione politica. Si tratta di mostrare ai nemici dell'Inghilterra, e soprattutto ai governi assoluti, che trionfavano delle sue difficoltà, che la grave crisi economica che ha colpito il paese nel 1825 e nel 1826 non ha toccato la forza sostanziale, e la superiorità del governo inglese. Ma nello stesso tempo il bisogno di tracciare un quadro completo della situazione induce il suo autore a seguire la crisi nei suoi sviluppi e nelle catastrofi che produce, sviluppando le argomentazioni che, a proposito di essa, uomini di scienza e pubblicisti e uomini di governo hanno avanzato. Sono da notare due novità nell'atteggiamento dell'autore: la prima che, pur propendendo per le tesi dell'opposizione, in specie dei democratici radicali, pur mettendo tra le cause della crisi (come essi facevano), la legge dei poveri che rende meno previdente l'operaio inglese, il Pecchio rende giustizia alla attività e alla prudenza dell'indirizzo del Peel, anche se questi non ha potuto disattendere del tutto le pressioni dei proprietari terrieri né il regime protettivo del grano: la seconda è l'interesse per le dottrine economiche che han cercato di dare una spiegazione alla crisi; un interesse in cui domina quello