Rassegna storica del Risorgimento
ITALIA POLITICA ESTERA 1864; TUNISIA STORIA 1864
anno
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1980
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pagina
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311
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IL GOVERNO ITALIANO DI FRONTE ALLA CRISI TUNISINA DEL 1864
Nel 1864 la rivolta scoppiata nella Reggenza di Tunisi contro il bey Moham-raed es-Sadiq e il suo primo ministro Mustafà al-Khaznadar pose la prima volta il governo del nuovo Stato unitario di fronte a una crisi in un campo, quello delle influenze e rivalità coloniali, in cui rispetto alla Francia e alla Gran Bretagna si trovava in condizione di grande, incolmabile svantaggio sotto ogni aspetto.
Sia per la debolezza economica e militare, sia per lo scarso peso esercitato nel concerto delle potenze europee, la politica estera affidata al Visconti Venosta nel ministero Minghetti non poteva che atteggiarsi alla massima cautela, secondo la formula espressa dal Visconti Venosta stesso nel marzo 1863 indipendenti sempre, ma isolati mai : formula semplice solo in apparenza, giacché non era facile (né opportuno) staccarsi dalla dipendenza e tutela francese, e in quanto all'isolamento, fu proprio questo il frutto che a lungo andare maturò dal congresso di Berlino fino alle delusioni del 1881.
Inoltre il quadro dei rapporti tra le grandi potenze era quanto mai confuso per le conseguenze della crisi polacca del 1863 che intorbidì le relazioni, fino alla rottura, tra Francia e Russia e per la questione dei ducati danesi nel 1864, in cui all'affermarsi dell'energica e abile politica del Bismarck non fecero certo da contrappeso né l'incertezza di Napoleone IH (oscillante tra i vantaggi che un'eventuale alleanza con l'Inghilterra poteva offrirgli sul Reno e una politica di mediazione che consentisse di conseguire gli stessi scopi senza correre il rìschio di una guerra contro Austria e Prussia), né la sostanziale passività della Gran Bretagna, decisa a non impegnarsi in un conflitto continentale,1' mentre il governo italiano cercava d'impedire qualsiasi garanzia prussiana all'Austria per il Veneto ed era intento a condurre le diffìcili trattative con Napoleone IH per avviare la questione romana a una soluzione diplomatica.
In questa situazione instabile e fluida dei rapporti internazionali, in cui improvvise rotture facevano seguito ad effimere alleanze, in un tourbillon di accordi e momentanee coalizioni suggerite dalle circostanze immediate o imposte dalla necessità di affrontare crisi impreviste che andavano erodendo l'egemonia anglo-francese qual era uscita dal congresso di Parigi, il governo italiano aveva rare possibilità d'inserirsi con una politica autonoma e dinamica, poiché anche il principale problema del compimento dell'unità doveva necessariamente risolversi con l'appoggio, il consenso, la mediazione non disinteressata della Francia. Non dunque la politica ambiziosa di sesta grande potenza , ma quella di uno Stato * di scarse capacità interne, con finanze in dissesto, travagliato tra reazione e rivoluzione,2' non ancora riconosciuto da alcuni stati europei (Spagna, Baviera, Austria) e insidiato dalle aspirazioni di rivincita da parte dell'Austria, dalle mene di Francesco II non rassegnato alla perdita del regno napoletano,
*) A. J. P. TAYLOR, L'Europa delle grandi potenze da Mettermeli a Lenin, Bari, 1961, pp. 207-214; 223-225.
3 F. CHABOD, Considerazioni sulla politica estera dell'Italia dal 1870 al 1915, in Orientamenti per la storia d'Italia nel Risorgimento* Bari, 1952, p. 25.