Rassegna storica del Risorgimento
GIUNTINI ALDO; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO
anno
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1980
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pagina
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349
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LIBRI E PERIODICI
ALFIO CHIMI, Teoria educativa e scuola popolare in Sicilia nel tempo dei Borboni; Acireale, Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici, 1978, in 8, pp. 202. S.p.
In questo volume, l'À. si propone di ricostruire le vicende della riflessione pedagogica e delle concrete realizzazioni in materia di scuola popolare in Sicilia, nel periodo che va dalla metà del XVIII secolo fino all'Unità d'Italia; vicende doppiamente trascurate nella maggior parte delle opere di storia della pedagogia e storia della scuola, in quanto da un lato al Regno borbonico nel suo complesso viene dedicata minor attenzione rispetto a quella consacrata agli Stati dell'Italia settentrionale e centrale, dall'altro, qualora esso sia oggetto di studio, l'analisi si appunta per lo più sulla sua parte continentale, e Napoli in specie, mentre rimane in ombra la specifica situazione siciliana. A giustificazione di questa scelta, si adduce la scarsità di fenomeni di rilievo che è dato riscontrare nell'isola, tanto per quel che riguarda qualità e quantità di istituzioni scolastiche, quanto por opere di riforma o riflessione sui problemi educativi. Mostrare le carenze di un tale approccio è uno degli scopi del volume di Crimi, che pur riconoscendo limiti ed arretratezze della situazione scolastica ed educativa siciliana nel periodo considerato, métte in luce l'esistenza sia di un fermento di idee (e in alcuni momenti anche di propositi riformatori, in specie intorno al 1790, con la figura del De Cosmi) sia di una rete di scuole primarie che giunge, alla fine del dominio borbonico, a toccare praticamente tutti i comuni siciliani (e con frequenza in molti casi non scarsa). Una situazione dunque che, se non si può comparare a quella di altre zone d'Italia dove meno pesavano condizionamenti politici ed economici, non si può neanche liquidare sommariamente con un generico giudizio di c< deprivazione come oggi si usa dire scolastica e culturale, ma merita di essere studiata più da vicino.
Uno degli elementi più interessanti del panorama educativo su cui l'A. si sofferma in più di un punto - è il destino che ebbe nell'isola il metodo lancasteriano del mutuo insegnamento. D mutuo insegnamento, di per sé non inedito nella storia dell'educazione, era stato riorganizzato e codificato secondo regole specifiche ed aveva conosciuto notorietà e diffusione sul finire del '700, principalmente ad opera degli inglesi Bell e Lan-caster; con la sua struttura basata sull'impiego di alcuni fra gli stessi allievi per insegnare agli altri, permetteva di diffondere i primi rudimenti dell'istruzione ad un elevato numero di bambini e di giovanetti anche qualora non si disponesse di molte scuole e molti insegnanti, e pertanto sembrava particolarmente adatto a venire incontro alle esigenze di ampliamento dell'alfabetizzazione in situazioni sfavorite.
Se gli intenti dei suoi promotori erano di natura filantropica, tuttavia il metodo in sé era quasi militaresco nel rigore della sua organizzazione e della sua disciplina; e questo probabilmente spiega come, nella penisola italiana, potesse incontrare il favore tanto dei liberali di diversi Stati che lo coloravano di più vasti intenti politici e sociali quanto del re Ferdinando, che fece aprire a Napoli addirittura la prima scuola lancasteriana d'Italia.
A partire dal 1819, tali scuole iniziarono a diffondersi anche in Sicilia, dove ebbero risultati positivi e conobbero una vita più duratura che nella maggior parte delle altre regioni italiane (con l'eccezione della Toscana); dopo i moti del 1820-21, infatti, la maggior parte dei governi chiuse le esistenti scuole di mutuo insegnamento, il cui metodo veniva accusato di essere contrario al principio di autorità, e anche il re Ferdinando, per la parte continentale del suo regno, le lasciò sopravvivere solo in Napoli. In Sicilia invece la Commissione di Pubblica Istruzione incaricata di redigere il nuovo regolamento del 1821, introdusse sì norme atte a sottoporre il metodo a controlli precisi ma, grazie alla presenza nel suo seno di membri ad esso personalmente favorevoli, ne garantì non solo la sopravvivenza ma anche le possibilità di diffusione, tanto che verso la fine del regno borbonico in più di un terzo del comuni siciliani si trovava una scuola lancasteriana (per lo