Rassegna storica del Risorgimento
GIUNTINI ALDO; ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO
anno
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1980
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pagina
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367
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Libri e periodici
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l'immane massacro e non nascondono lo sgomento e la patirà di certi momenti: ce L'Orti-gara: quando mi viene in mente, mi sento ingremire, mi viene da piangere: descrìvere le paure che ho passato non si può mica (p. 333). Ma poco dopo: bisogna tener il fronte per forza, sennò ciao, i tìider arrivavano a Milano (p. 334). Un altro testimone, mentre l'intervistatore lo sollecita a dire se approvava la guerra, se ne esce: L'entusiasmo non c'era bisogno di mettercelo addosso, Io avevamo per conto nostro: bisognava liberare l'Italia dai tedeschi, prendere Trento e Trieste ; e poiché l'intervistatore insiste: a Anche a costo dì centinaia di migliaia di morii?, risponde puntigliosamente: a La guerra è guerra, i morti ci sono sempre stati (p. 349). Può meravigliare un giudizio tanto tradizionale su un evento, che a distanza di oltre un sessantennio continua a interpellarci, ma c'è anche chi è ancora più in linea con la tradizione: oc eravamo quasi tutti contrari alla guerra. Ma quando abbiamo cominciato a conoscere gli austriaci (che dove noi stavamo in linea erano della zona e parlavano un dialetto che si capiva) il nostro pensiero un po' alla volta ha preso un'altra strada ... passando i giorni abbiamo cominciato ad odiarli, a convincerci che la guerra (non come massacro, quella continuava a fare orrore) era necessaria, perché li avevamo qui in casa nostra, perché occupavano una parte dell'Italia e, se avessero vinto loro, avrebbero invaso i nostri paesi, con la loro mentalità di padroni... Cerano poi i fatti del Risorgimento, anche quelli per dire che l'Austria era la nostra nemica di sempre, da combattere fino alla settima generazione (pp. 233-234).
Si accompagna con questi giudizi (dei quali, però, si vorrebbe sapere quanto è frutto di una cultura successiva agli eventi vissuti; in un caso l'intervistatore obietta: ce Lei ha comunque una cultura e un linguaggio non da contadino tradizionale e l'intervistato: or Certo, ho speso un po' del mio tempo libero a leggere , p. 181) un'idea di patria, che può meravigliare solo chi non conosce la gente della montagna: una patria tangibile, afferrabile, immediata, non quella incomprensibile e oleografica, come quella raffigurata nei fogli di congedo: ce la patria era là subito dietro le linee, la casa, i nostri cari, le bestie, i boschi, le coltivazioni (pp. 179-180). Cosi la vede dall'Adamello un alpino. Basta voltarsi a guardare giù nella valle. Ha ragione Sandro Fontana quando annota: ce la patria aveva uno spessore concreto, quotidiano familiare e si identificava con il proprio ambiente sociale (p. 8). È, d'altra parte, il grande senso di umanità verso il nemico reale, che si ha a pochi metri di distanza e che non si vuole ce cecchinare (un sistema odioso per i nostri soldati) e con il quale si può anche di nascosto scambiare la pagnotta contro un pacchetto di sigarette, o magari tacitamente accordarsi perché lasci passare sotto di lui il rancio degli alpini dietro il compenso della gavetta piena da tirar su con la corda... (pp. 159-160). Non certo un'immagine idilliaca della guerra, perché, anzi, le testimonianze insistono sia per il fronte alpino, sia per quello carsico a dipingere con foschi colori l'attesa dell'attacco, la paura della morte, i bombardamenti d'artiglieria, l'incubo dei gas, il fango della trincea, i pidocchi, l'abiezione quotidiana: ce Se provaste a trovarvi nel mio stato all'abbandono di tutti senza una parola un consiglio un aiuto non potreste neanche voi ragionare diversamente . (Lettera alla moglie di Giuseppe Olmi, da Chiari, ci. 1895, morto il 29 dicembre 1916; p. 99).
Pero, dice un testimone: ce nonostante la brutta vita che ci toccava di fare, qui da noi non si sono avuti disertori, passati al nemico, o scappati a nascondersi per non tornare in linea (p. 266). In realtà una sezione del libro riguarda proprio un manipolo di lettere conservate nell'Archivio centrale dello Stato di disertori, o di prigionieri sospettati di aver disertato, o anche di soldati che scrivono in modo non intelligibile. Anche qui l'indagine è ristretta ai lombardi e, più precisamente, i destinatari sono quasi tutti della provincia di Milano. Sono la testimonianza (vera, o presunta dalla censura militare) dell'altra faccia della guerra, un fenomeno che contraddice alle testimonianze sopra citate, ma che va ricondotto alia sua reale dimensione, ossia quantificalo, se mi e consentilo, per una volto, usare questo pessimo neologismo. Alberto Monticone ha potuto fissare al sei per cento del totale dei militari alle armi il numero degli inquisiti dalla giustizia militare durante la guerra, ma egli si pone anche il problema della parte, che, in questa cifra può avere la incomunicabilità e l'incomprensione fra i comandi e la truppa e, aggiungerei, l'arbitrio e la vera e propria ingiustizia di non pochi procedimenti. A questo proposito colpiscono le testimonianze su i crudeli sistemi repressivi in atto nella prima guerra mondiale, almeno fino alla sostituzione di Cadorna: le decimazioni, i processi per direttissima, senza ascoltare testimoni a