Rassegna storica del Risorgimento

CRISPI VINCENZO; MAZZINI GIUSEPPE
anno <1981>   pagina <42>
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CRISPI E MAZZINI
LA COLLABORAZIONE
Io fui in relazione con Mazzini dal 1852 al 1864. Fui l'amico di Mazzini, non lo schiavo. L'illustre patriota è morto. Ma se leggerete la corrispondenza tra me e Ini, non vi troverete una parola servile, non una che consentisse a tutto ciò che egli chiedeva. Quindi, se nelle linee principali della politica nazio­nale fummo d'accordo, più d'una volta dovemmo dissentire.
Il nostro proponimento, il nostro scopo, i nostri sforzi erano diretti al conseguimento dell'unità nazionale. Mazzini, per giungere a questa nobile meta, pia d'una volta dichiarò che non avrebbe permesso che la forma uccidesse la sostanza. Nel 1831, infatti, egli si rivolse a Carlo Alberto, nel 1848 a Pio IX, cioè alla negazione della liberazione della libera coscienza e del libero pen­siero, e in seguito offrì l'opera sua a Vittorio Emanuele, col quale fu sempre in relazione. Ma a noi non impose vincoli mai! Cospirammo allo scopo del­l'unità, e l'unità fu conseguita, sotto la bandiera, nella quale era scritto: Italia e Vittorio Emanuele. Quello che io volessi e quello cui mirassi, restando sempre amico di Mazzini, lo dimostrano i primi decreti da me pubblicati al 1860 in Sicilia: e un aneddoto che l'altra sera ricordai ai miei amici riuniti alla Con­sulta lo prova. Io ripeterò anche qui questo aneddoto.
Il 20 aprile 1860 io era tranquillo in una locanda di Genova, quando si presentarono a me cinque di coloro i quali dovevano far parte della spedizione dei Mille. Da Buenos-Ayres era stata mandata a Giuseppe Garibaldi una ban­diera, nel cui centro era dipinta l'Italia, la quale con la destra teneva lo scudo di Savoia. Quei cinque, molto puritani, pensando più alla forma del Governo, che alla conquista dell'unità nazionale, misero per condizione, che non sareb­bero venuti con noi se quella fosse stata la bandiera del corpo dei volontari. Li congedai dichiarando che avremmo fatto senza di essi e che potevano andar­sene. Partimmo da Quarto e giungemmo a Marsala: e il mio primo atto fu di convocare il Consiglio comunale di quella città, il quale proclamò la dittatura di Garibaldi con Vittorio Emanuele Re. Così procedemmo fino al Volturno e con quella bandiera gloriosa abbiamo compiuto il nostro dovere. Aperto il Par­lamento italiano abbiamo accettato senza riserve il mandato legislativo. I vin­coli con Mazzini per il lavoro dell'unità non esistevano più. Uno nuova era cominciava: quella dell'ordinamento interno del paese, per mezzo del lavoro parlamentare.
Venne il 1864. In un episodio, al quale diede occasione il mio amico, il deputato Mordini, credetti di dover parlare per un fatto personale. Dissi allora, che sarei rimasto al posto di deputato, dove il popolo mi aveva mandato; che la mia bandiera era quella di Italia e Vittorio Emanuele, con la quale eravamo scesi a Marsala; che la monarchia ci unisce, che la repubblica ci dividerebbe. Da allora in poi non c'era ragione di andare indietro, o di cedere; sarei stato spergiuro, se l'avessi fatto. È questo un tradimento a Mazzini? Ditelo voi .
i) F. CBISFI, Discorsi parlamentari (pubblicati per deliberazione della Camera dei De­putati), voi. Ili, Roma, 1915, pp. 547-548.