Rassegna storica del Risorgimento
CRISPI VINCENZO; MAZZINI GIUSEPPE
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1981
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Crispi e Mazzini
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Mazzini considera il linguaggio del deputato siciliano stampato soverchiamente di quel materialismo governativo, di quella stretta idea di legalità morta, che costituì la scuola Dottrinaria Francese e rese inevitabile la rivoluzione del *30 e poi quella del *48 . Proseguendo, ripete il concetto della rivoluzione incompiuta e il più rapidamente possibile da compiere e, posto una sorta di imperativo categorico, formula un rimprovero condizionato ma assai pesante: Finché non è fatta l'Italia, siam tutti necessariamente rivoluzionari. Voi, mi pare, lo dimenticate . Si preoccupa, infine, del nodo morale del giuramento, che già comincia a condizionare Crispi e che rappresenterà il primo momento della sua evoluzione politica.
Mazzini, con un ragionamento non semplice e non poco strumentale, cerca di spiegare in questo modo la natura delFatto formalmente rivolto alla monarchia: Non avete giurato assolutamente fuorché all'Italia. Soltanto, avete detto alla Monarchia: per* fare l'Italia e nella credenza che la facciate, vi do forza col mio assenso. È un esperimento. Se l'esperimento fallisse, credete aver giurato alla Monarchia per se stessa? . Conclude con dei concetti ( il paese, il dovere, il fine Nazionale sono al di sopra della Monarchia ), ai quali si rifarà costantemente Crispi anche quando la frattura inizierà a manifestarsi e ad ampliarsi fino all'irreparabile.25)
Anche una successiva lettera del 27 giugno, ancora a Crispi, rileva criticamente il comportamento alla Camera della Sinistra, che continuava ad esistere negli individui ma che non accennava ad impegnarsi collettivamente sui temi essenziali e qualificanti. Torna a ricordare la necessità di firmare una rimostranza per Roma, circoscrivendo anche a trenta, venticinque, venti il numero dei deputati sottoscrittori.26*
Crispi, dal canto suo, almeno fino al 1860, aveva sempre mostrato un sostanziale allineamento con le scelte ed anche con le indicazioni di Mazzini.27)
La risposta alle due lettere del 9 e del 17 giugno 1861, data il 24 dello stesso mese, pare indicativo segno della posizione di Crispi. Nel rammaricarsi del mancato arrivo in Sicilia, confessa non senza enfasi: Mi beavo nell'idea di abbracciarvi nella mia terra natale, libera dagli sgherri del dispotismo. Mi avete tolto questo bene: spero sia pel bene dell'Italia nostra .28)
L'anno prima, però, quasi negli stessi giorni, il 25 di giugno, Crispi scrive a Rattazzi, perché le ripeta al sovrano, parole, che gettano una luce davvero sorprendente e, in fondo, disarmante sui suoi atteggiamenti: Si è pensato a calunniarmi mettendoci a colpa il nostro peccato di origine. Si fa dire che essendo repubblicani non facciamo gli interessi d'Italia. Questo titolo ci si dà in tutti i modi e con tutti i colori. Il nostro partito surto sin dal 1831 è unitario innanzi tutto. Più volte in diverse occasioni, abbiamo detto che noi siamo col re, se egli sarà coll'Italia. Or nissuno al mondo potrà esser cieco talmente da non credere che oggi non ci può esser salute pel nostro paese che all'ombra della Croce sabauda. Ci si vorrebbe fare il torto che manchi a noi l'intelligenza di conoscere i tempi? Garibaldi alla testa del Governo non è forse una guaren
do S.E.I., voi. LXXI, pp. 204-205.
26) Ivi, pp. 273-275.
27) Palamenghi-Crispi addirittura ha sostenuto che nTimmo nel 1860 a amava il Mazzini e venerava il suo apostolato (F. CKISPI, / Mille cit., p. 98).
29) Ivi, p. 195.