Rassegna storica del Risorgimento

MOSCATI RUGGERO
anno <1982>   pagina <4>
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Giuseppe Galasso
In un certo senso, è come se Moscati sentisse quale propria vocazione di storico quella di glossatore, commentatore a margine della documentazione sto­rica stabilita come autentica, naturalmente, e, nello stesso tempo, rilevante. Volendo, si può cogliere in ciò ima implicazione metodologica precisa: la storia intesa come filologia, come coordinamento di una documentazione che in certo qual modo parla da sé. Ancora una volta non a caso, Moscati fu a lungo archi­vista prima di entrare neiruni versila; e la pratica identificazione del lavoro storico col lavoro di archivio rimase in lui come una convinzione tanto pro­fonda quanto intima. Al limite si registra in lui una sorta di pudore, ancor più che di riluttanza, nel tradurre la serie documentaria stabilita come fonte per lo studio del tema storico prescelto in un racconto letterariamente svinco­lato da essa. Nel che è anche la radice psicologica della scarsa pazienza che egli manifestò di portare a compimento, dandone la redazione ultima, tanti lavori, per i quali la ricerca archivistica era pur stata abbondante e magari più che suf­ficiente: gli è che il momento della ricerca documentaria lo assorbiva e lo sod­disfaceva di per se stesso, come studio e come matrice di conoscenze e di opi­nioni, senza bisogno di risolversi nella distesa e compiuta fatica della rico­struzione.
In ciò egli finiva col somigliare molto ad uno dei suoi maestri, a Nino Cor­tese; e raccoglieva una tradizione ed un atteggiamento della storiografìa meri­dionale che avevano avuto in Bartolommeo Capasso e avevano anche allora in un Gennaro M. Monti a cui Moscati significativamente dedicò uno dei suoi primi lavori , in Nino Cortese e in Fausto Nicolini i loro maggiori esponenti. Tutte personalità diverse fra loro, naturalmente, nel temperamento e, soprattutto, negli esiti rispettivamente dati al loro lavoro di studiosi, ma accomunati, ap­punto, dalla centralità di quel nesso tra filologia e storia, documento e rievoca­zione in cui si esprimeva la loro attività e la loro passione di ricercatori. A veder bene, non era, un atteggiamento di vero e proprio positivismo, inteso come teorizzazione dogmatica del fatto e del documento. Era, piuttosto benché avesse largamente assorbito gli insegnamenti positivistici in materia di esegesi, critica ed edizione delle fonti la prosecuzione modernamente aggiornata e atteggiata di interessi che nella tradizione meridionale avevano origini lonta­nissime (l'umanesimo, la tradizione giuridica e politica del Regno) e che, prima del positivismo, avevano avuto la riconsacrazione nazionale e romantica del Risorgimento. In questo senso la definizione di storia patria , che si attaglia così bene a quella tradizione e a quell'atteggiamento meridionale, era ben lon­tana dal significare ristrettezza di orizzonti culturali e provincialismo di interessi e di orientamenti: essa esprimeva, invece, efficacemente l'intensità con cui l'in­teresse storico si poneva e veniva vissuto nella sua localizzazione patria .
Nella storiografìa meridionale dei tempi della giovinezza di Moscati (per la quale mi sia permesso rinviare al mio Profilo di Ernesto Pontieri, in Archivio Storico per le Provincie Napoletane, 1980) c'erano, peraltro, come figure domi­nanti anche e soprattutto Michelangelo Sciupa, a livello universitario (benché questi lasciasse nel 1929 l'insegnamento e Moscati avrebbe rievocato nel 1961 la partecipazione sua e di Maturi all'ultima lezione del maestro); e Benedetto Croce, al livello del grande dibattito di idee e di metodologia. Moscati sentì, di fatto, all'inizio e a lungo, l'influenza del primo più che del secondo, al quale pure lo legava, oltre tutto, la tradizione del liberalismo familiare (basti pensare agli studi e alla posizione del padre Amedeo). Inoltre, un'influenza determinante ebbe su di lui per gli interessi e i metodi di studio e per gli orien-