Rassegna storica del Risorgimento
MOSCATI RUGGERO
anno
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1982
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pagina
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Giuseppe Galasso
1 Borboni d'Italia (Napoli, 1970) già più che ne // Mezzogiorno d'Italia nel Risorgimento (Messina-Firenze, 1954) lo si vede chiaramente. Nel volume sui Borboni, che è del 1970, ne sarebbe anche venuto fuori un capitolo sulla storio-grana sul periodo borbonico, che rimane un po' come il suo testamento storiografico sul mondo del quale era stato in ogni senso uno degli studiosi non solo più acuti, ma anche più direttamente e personalmente implicati nel pathos della vicenda studiata. A lui, de verbo ad verbum, si adattava perciò quel che egli stesso nel 1961 (in Risorgimento liberale) scriveva di Walter Maturi: erede di una grande tradizione, egli ne dava una moderna e scaltrita edizione, che era bonaria e scanzonata solo all'apparenza, ma nel profondo fermamente e religiosamente sentita . Né si sarebbe potuto dire meglio per cogliere il senso autobiografico della sua opera, che abbiamo già sottolineato, e, insieme, la dimensione personale del suo modo di essere, negli studi, quello che in generale era nella vita, in cui bonarietà e scanzonatezza non valevano l'effettiva serietà e radicamento dei sentimenti e delle idee.
Con Walter Maturi egli disse allora di condividere, tra l'altro, una comune fede nella storia del Mezzogiorno . E anche per chiarire quale fosse questa fede e in che cosa essa consistesse possono valere altre cose che nella stessa occasione egli scrisse di Maturi. Quei napoletani della vecchia Destra, hegeliani e storicisti, forniti di senso dello Stato e a mezza via tra giurisdizionalismo e cattolicesimo liberale, scrisse, infatti, allora gli erano congeniali . E sono questi, in effetti, gli elementi del mondo morale e intellettuale di Moscati anche a livello storiografico: Napoli, vecchia Destra, senso dello Stato e della sua tradizione, liberalismo. Nel caso di Moscati, forse ancora più che in quello di Maturi, tutto ciò voleva poi dire anche laicismo, come distinzione dalla tradizione del cattolicesimo politico e come elemento irriducibile della tradizione meridionale. Perciò le grandi fortune elettorali della Democrazia Cristiana nel Mezzogiorno dopo il 1945 suscitavano il suo divertito stupore al ricordo della poca considerazione in cui negli stessi luoghi i vecchi clericali, e anche i popolari, erano stati tenuti sino alla fine dell'Italia liberale. Con ciò anche gli sfuggiva, per la verità, che le fortune democristiane si fondavano su elementi di aggregazione sociale non troppo difformi, mutatis mutandis, da quelli che a sua tempo avevano assicurato l'egemonia politica del vecchio notabilato meridionale, dal cui mondo egli usciva. E in ciò era anche, indubbiamente, un limite non solo del suo giudizio politico, ma anche, in qualche modo, del suo giudizio storico sullo stesso Risorgimento e sul Mezzogiorno risorgimentale, giudizio sempre più crocianamente ancorato alla riaffermazione dei valori risorgimentali e dell'idea e del metodo della libertà, come si vede particolarmente nelle pagine di Risorgimento liberale.
Questa idealizzazione fa, peraltro, un contrasto assai vivo con la concretezza che per molti aspetti tende sempre ad assumere il lavoro di Moscati storico. Egli ne aveva dato un saggio giovanile nel lavoro a tutt'oggi di grande interesse e validità - - sulla evoluzione della feudalità napoletana nel periodo angioino, che apparve nell'archìvio Storico per le Provincie Napoletane nel 1936; e ne ha dato poi sempre prova nella varietà dei suoi interessi di storia amministrativa, diplomatica, perfino araldica. Ma il documento maggiore che ne rimane è nella difficile prova a cui Moscati si sottopose scrivendo la storia della sua famiglia e da cui venne fuori forse il BUO libro più riuscito. Una famiglia borghese , come l'autore amava scrivere tra virgolette, e che gli consentì di tracciare, come si proponeva, uno spaccato dell'i mera storia sociale del Mezzogiorno moderno. Qui l'autobiografia di fondo, la passione documentaria, il senso