Rassegna storica del Risorgimento

ELEZIONI COMUNALI MILANO 1914; PARTITI POLTICI MILANO 1914
anno <1982>   pagina <39>
immagine non disponibile

Barbarossa a palazzo Marino
39
mancare il proprio appoggio ai candidati del partito liberale.*2) H successo radi­cale, data anche la moderazione dei suoi eletti, appariva in effetti più come un voto negativo nei confronti dei liberali e della loro politica che come uno spo­stamento elettorale verso le posizioni radicali. I liberali quindi ritennero che l'aver perduto tre deputati su quattro costituisse una grave sconfìtta per il loro partito e per l'amministrazione muncipale e decisero che sia la Giunta Greppi sia l'intera maggioranza consiliare dovessero dimettersi, provocando così lo scio­glimento del Consiglio comunale.43) Tale decisione venne presa contro il parere del governo e del prefetto Panizzardi, il quale tentò anzi di indurre i rappre­sentanti della maggioranza a restare al proprio posto.4*1
Il punto di vista di Panizzardi era soprattutto quello della politica nazio­nale e della maggioranza governativa, ma la sua idea che fosse necessario costi­tuire a Milano una vera concentrazione liberale , estesa al partito democra­tico,*3 nasceva anche dalla considerazione che non vi era altro modo per sbar-
gioranza consiliare di dimettersi (Archivio di Stato di Milano, fondo cit., cart. 247, tele­gramma del prefetto a Giolitti, Cavour, in data 7-11-1913). Panizzardi ripete lo stesso giudizio sia a Giolitti (Ivi, cart. 247, lettera del prefetto al ministro dell'interno in data 29-11-1913, sia a Salandra (/vi, cart. 522, lettera del prefetto al ministro dell'interno in data 27-4-1914, cit.).
421 L'appoggio concesso dalla prefettura ai candidati liberali risulta da parecchi docu­menti, che testimoniano l'interessamento perché il maggior numero possibile di elettori sicuramente costituzionali si recasse alle urne il 26 ottobre ed il 2 novembre (ivi, cart. 509 e 510).
*3) Essendo infatti dimissionari i due terzi del Consiglio comunale, si sarebbe dovuto procedere, per legge, allo scioglimento dell'intero Consiglio. L'originale della lettera di dimissioni dei consiglieri della maggioranza, inviata dal Sindaco a Panizzardi, si trova in Archivio di Stato di Milano, fondo cit., cart. 247, lettera del Sindaco al prefetto in data 8-11-1913).
44) Panizzardi tentò di convincere il Sindaco, gli assessori e i consiglieri comunali più autorevoli di quale errore fosse dimettersi, dal momento che le forze costituzionali avevano in definitiva perso solamente un Collegio (Ivi, cart. 247, lettera del prefetto a Giolitti. Cavour, in data 7-11-1913, cit.). Anche dopo le dimissioni ripete che si trattava di una crisi intempestiva ed inutile (Ivi, cart. 247, lettera del prefetto al ministro del­l'interno in data 29-11-1913, cit.). La Sera concordava con il prefetto nel giudizio su Agnelli e Gasparotto, che riteneva due democratici dalla schietta fede costituzionale e dal pro­gramma essenzialmente liberale , mettendo quindi in luce come l'ala radicale rappresen­tata dal Secolo riuscisse piuttosto malconcia dalle elezioni (La Sera, 3 novembre 1913, a Dopo le elezioni politiche. La grande lezione ). Esso riteneva però, al pari della Perseveranza (La Perseveranza, 3 novembre 1913, Alla riscossa ) e del Corriere (Corriere della Sera, 3 novembre 1913, e A elezioni finite ) che ciò non bastasse a mascherare la sconfitta dei liberali moderati. Tutti i giornali liberali e quello cattolico approvarono incondizionata­mente la decisione della Giunta e della maggioranza di dimettersi, che fu ben accolta anche dai giornali dell'opposizione, ad eccezione della Lombardia (La Lombardia, 7 novembre 1913, La crisi del Consiglio Comunale ) che avrebbe preferito che si rispettassero le normali scadenze elettorali.
45) Da lungo tempo scrisse Panizzardi a Salandra si va accarezzando un'idea la cui attuazione segnerebbe la netta distinzione dei partiti milanesi e sarebbe la fortuna di questa città. Si è cioè sempre pensato che una vera concentrazione liberale potrebbe defi­nitivamente salvare Milano dal pericolo socialista. Essa dovrebbe comprendere i liberali di ogni gradazione, a partire dai democratici, per finire ai cattolici più illuminati, quelli cioè come gli on. Meda e Degli Occhi che ammettono l'unita nazionale con Roma capitale, lasciando con fuori i clericali puri . Panizzardi non si nascondeva però le difficoltà di una simile intesa e riteneva quindi che unica, vera risorsa del partito liberale alle prossime