Rassegna storica del Risorgimento

GARIBALDI GIUSEPPE CENTENARIO; ISTITUTO MAZZINIANO DI GENOVA
anno <1982>   pagina <74>
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Libri e periodici
nezia e nelle provincie settentrionali dello Stato del papa, dall'altro lo sospingeva verso quella concezione tutta personale in cui tanta parte aveva l'ideale di un rinnovamento religioso, unico modo per dare senso e compimento alla rivoluzione politica e per comple­tare l'educazione delle plebi sollevandole dal semplice soddisfacimento dei bisogni mate* ri ali e librandole verso cieli più tersi. Non per niente molti anni più tardi Engels con facile sarcasmo lo avrebbe inserito in quella categoria dei cavalieri dei princìpi che ai suoi occhi simboleggiava la cultura borghese giunta al tramonto; ma se avesse pensato per un attimo a tutto il peso che le opere del prolifico studioso francese avevano avuto nello scatenamento della polemica antigesuitica degli anni '40 e nella preparazione delle con­dizioni pre-rivoluzionarie in Francia forse avrebbe avuto maggiore considerazione per quel tipo di cavalierato. Né ci deve fuorviare il fatto che, di fronte ai disordini ed alle rivolte del '48 parigino, Quinet ritornasse sui propri passi e partecipasse in prima persona alla repressione; su questo punto l'Angrisani Guerrini chiama in causa a la sua origine, la sua formazione ideologica di borghese, sia pure di borghese radicale e illuminato (p. 57) ma, oltre a ciò, io direi che gli ideali repubblicani di Quinet e tutta la sua personalità di libera I-demo era lieo non potevano riconoscersi, più che con la lotta di classe, con l'anarchia in cui rischiava di precipitare la rivoluzione dopo la caduta della dinastia orleanista. Perciò dal travaglio germinato dall'osservazione di una realtà tragica venne fuori un nuovo Quinet, più prosaico e in tutto simile a quegli intellettuali che, secondo sir Lewis Namier, volevano che la rivoluzione, come lo spettro del Christmas Carol di Dickens, arrivasse con un alone fiammeggiante intorno al capo e un grosso estintore sotto il braccio . 4>
Quando questo ripensamento ha luogo, Quinet ha già pubblicato il primo volume delle Révolutions d'Italie. L'opera, concepita per intervenire sul presente della Francia mediante una serie di moniti alla sua classe dirigente, piacerà molto in Italia perché, a differenza della Storia delle repubbliche italiane di Sismondi, offriva ad una popolazione in cerca d'identità nazionale un punto preciso di riferimento nel primo disegno globale della storia della penisola: l'interpretazione che ne dava Quinet era spesso intrisa di mora­lismo e, per quanto basata sulle fonti, era condotta, secondo certe caratteristiche dell'edu­cazione romantica dell'autore, sul filo di un impressionismo storiografico troppo marcato; ne veniva comunque fuori una ricostruzione hi cui la decadenza civile dell'Italia, conside­rata nelle sue espressioni politiche letterarie e artistiche, e la crisi morale erano viste come interdipendenti in uno scenario nel quale il cattolicesimo figurava come il fattore sommo di corruzione.
Come si vede, un Quinet per tanti versi vicino a Mazzini; e la vicinanza diventa quasi un'identità di vedute quando si pensi al peso che nella sua visione del mondo moderno, sua e anche dell'amico Michelet e in genere di quasi tutti i democratici francesi del tempo, aveva la nazionalità, vero e proprio parametro di giudizio del livello di sviluppo d'un paese, linea di demarcazione tra vecchio e nuovo, tra arretratezza e progresso, tra immobilismo e dinamismo. Ma sul raffronto tra Quinet e Mazzini, apparentemente così facile e scontato, l'Angrisani Guerrini trova espressioni che sono tra le più felici del suo lavo­ro, soprattutto quando osserva che se la concezione di Quinet coincide in pieno con quella mazziniana nel senso di aspirare ad una riforma radicale del cattolicesimo e nel porsi come forte critica verso la Chiesa romana e il potere temporale dei papi, si riveste poi di una accentuazione dell'elemento di interiorità di impronta tutta particolare [...], non può essere disgiunta da quella religione della libertà che abbiamo visto finora animare per Quinet sia la vita dei popoli sia quella dell'individuo, e non propende affatto come quella di Maz­zini per una sorta di religione istituzionalizzata, che porti poi ad una teocrazia vera e propria, con un conseguente autoritarismo ed una visione dirigistica nella sfera della co­scienza (pp. 169-170).
Con tali affermazioni siamo già alla terza parte del volume, dove l'Autrice esamina
3) L'espressione è in una lettera del 21-7-1874 a Marx, Carteggio Marx-Engels, voi. VI (1870-1883), Roma, Editori Riuniti, 1972 (III ed.), p. 200.
4) LEWIS B. NAMIER, La rivoluzione degli intellettuali e altri saggi sull'Ottocento europeo, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1957, p. 20.