Rassegna storica del Risorgimento
CAMPI DI CONCENTRAMENTO GERMANIA
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1982
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Vittorio E. Giuntella
cantare, anche perché nei quarantacinque giorni badogliani era stato ripreso dalle nostre bande militari. Dell'inno di Garibaldi tutti ricordavamo il va fuori d'Italia, va fuori stranier, o rinizio, non meno rutilante di quello di Mameli: Si scopron le tombe, si levano i morti e le spade nel pugno gli allori alle chiome , ma nessuno di noi era in grado di cantarne una strofa intera.22) E credo che nessuno ricordasse che viene dall'inno di Garibaldi la frase Bastone tedesco Italia non doma , che pure era qualche volta citata. Come si vede, della famosa oleografìa dei grandi padri del Risorgimento quasi tutti erano assenti, o ricordati vagamente. Quanto, poi, all'altra non meno celebre, che ritrae a braccetto Vittorio Emanuele II e Pio IX, forse era quest'ultimo il più conosciuto direttamente, almeno nel campo di Sandbostel, per via di un esemplare unico delle Encicliche sociali dei papi in una edizione curata da Igino Giordani.24) Per quel che ricordo le difficoltà nel lettore (per
) Ricordo come rimanemmo sorpresi, dopo la liberazione, di sentire le note dell'inno di Garibaldi aprire e accompagnare una trasmissione di Radio Lussemburgo quotidianamente messa in onda per gli internati italiani già da prima della liberazione. Ho fatto ri-cerche presso Pente radiotelevisivo del granducato, ma, a quel che mi è stato detto, non ne hanno conservato i testi. La trasmissione si apriva con l'inno di Garibaldi e le parole: a Questa è Radio Lussemburgo, una delle nazioni unite, che trasmette per gli italiani in Germania. Confratelli Coraggio! .
23) In una baracca del lager di Beniaminowo, a nord-est di Varsavia, un internato aveva scrìtto sulla parete, con stile e compiacimento lapidario: ce Qui Ufficiali italiani contro ogni diritto tenuti prigioni soffersero odiosa oppressione come i padri e gli avi tenacemente riaffermando che oc Bastone tedesco Italia non doma . Dubito, però, che anche lui fosse in grado di ricollegare l'ultima frase all'inno di Garibaldi. Anch'io non ne ricordavo l'origine, ma molto bene il detto, perché l'avevo letto sotto una mazza austriaca (e commentato, per quel che si poteva allora), in una visita con i miei alpini al Museo del Risorgimento di Vicenza. Eravamo in partenza per l'Albania, con il cuore angosciato per l'impopolare aggressione alla Grecia e per i tristi presagi della funesta alleanza con. i nazisti.
A spiegare il poco sicuro contatto con le memorie del Risorgimento forse vale, oltre all'ostracismo fatto agli inni di Mameli e di Garibaldi, la scarsa considerazione, che ebbe nella cultura di regime, piuttosto orientata, anche nel suo innario, ad esaltare il culto della romanità. Io debbo alle incompatibili lezioni del mio professore di storia nel Collegio Nazareno un'immagine più viva, più esaltante e più ammonitrice del Risorgimento.
24> Questa affermazione merita un chiarimento, senza del quale potrebbe sembrare erronea e stravagante. Evidentemente tra coloro (e a lungo furono maggioranza), che, nella loro resistenza all'adesione si riferivano in primo luogo alla fedeltà al sovrano, pur non risparmiando, esplicitamente, o no, accuse a Vittorio Emanuele, per la mancata fede allo Statuto da lui giurata e, da ultimo, per il modo con il quale si era attuata la decisione di porre fine alla guerra, rimaneva la convinzione che dalle tradizioni di Casa Savoia si dovessero trarre gli auspici per una ricostruzione del paese devastato materialmente e moralmente. In questa prospettiva, che, ripeto, durò a lungo, si inseriva positivamente l'avo Vittorio Emanuele II, che aveva realizzato l'unità, iniziando il suo regno senza cedere alle pressioni di Radetzki e, soprattutto, senza abrogare lo Statuto. Pochi, però, ricordavano che era stato suo padre, poco conosciuto e ancor meno amato, che aveva avuto l'ardire di inserire lo stemma dei Savoia sulla bandiera della rivoluzione italiana. H favore per il papato (e di riflesso per la sua vicenda nell'Ottocento) nasceva, invece, dalla diffusa speranza che esso potesse, con il prestigio acquistato nel mondo contemporaneo, facilitare il ritorno del paese nella comunità internazionale. Inoltre si pensava da alcuni (non da tutti e neppure dalla maggioranza) che finita la a Questiono romana (che nessuno avrebbe voluto riaprire, perché, se mai, le difficoltà si appuntavano sul concordato) il papato, che in quel momento rappresentava Tunica autorità superstite e legittima per una gran parte