Rassegna storica del Risorgimento

CAMPI DI CONCENTRAMENTO GERMANIA
anno <1982>   pagina <396>
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Vittorio E. Giuntella
ancora (e non poteva apparire) l'interpretazione del Risorgimento come una rivoluzione agraria mancata, ma si avvertiva un prevalente giudizio negativo sulla ristrettezza del consenso e sul mancato supporto delle masse all'esperimento liberale. L'affermarsi in Europa dei regimi totalitari era, perciò, considerato come un episodio macroscopico e sanguinoso della sopraffazione di classe. Più radicata era in complesso la convinzione che per salvare il Paese fosse necessaria e urgente una riforma morale degli italiani, anche se, poi, sui contenuti di essa le divergenze erano profonde. Su una cosa, però, si era tutti d'accordo, la ri­forma del costume civico; e qui le critiche sul carattere degli italiani, incon­sapevolmente, si rifacevano agli argomenti, che successivamente avrei ritrovato nella pubblicistica risorgimentale, a cominciare da Pietro Verri e dagli scritti pedagogici del periodo giacobino. L'Italia è fatta, bisogna rifare gli italiani , era un luogo comune della cultura degli internati, anche se non tutti conosce­vano l'origine azegliana della frase. Le critiche si appuntavano, ora, su caratte­ristiche negative tradizionali quali la furberia e il compiacersi in essa a danno dei semplici ; la predilezione per l'imbroglio; lo sfruttare i pubblici poteri a proprio vantaggio, o utilizzarli per sopraffare gli altri. Vi erano anche vaghe reminiscenze dei Doveri dell'uomo di Mazzini, ai quali direttamente, o in forma mediata molti di noi si erano avvicinati nella scuola elementare, in quell'em­brione di educazione civica, che ci veniva impartita. Il campo (o la maggior parte di esso) viveva questa riforma in un modo estremamente convinto ed in­genuo, del quale la manifestazione esteriore, che più colpiva, era l'impegno nel fare spontaneamente e ordinatamente la fila per uno, anche quando si trattava di trecento e più persone, che attendevano per qualche ora il proprio turno per attingere acqua all'unica pompa accessibile. Ma se si pensa che era normale il lasciare incustodito in baracca sul proprio giaciglio il piccolo avanzo di pane risparmiato alla fame meridiana (finché non ci si ridusse a mangiare tutto e subito quel poco, che ci veniva dato ogni ventiquattro ore) si vede come l'in­genuità era accompagnata da generale e profonda convinzione. Lo stesso prin­cipio di rigore morale fece disprezzare i doppi giuochi e la mancanza di fede, anche nei confronti dello stesso nemico, rifiutando di considerare la possibilità di aderire per tornare in Italia e qui passare alla Resistenza, o nascondersi. Troppo pativamo della mancanza di sincerità dei nostri capi, a cominciare dalla dichiarazione la guerra continua fino alle assicurazioni dell'ultimo momento, quando l'armistizio era già stato sottoscritto. Questo e non un preteso tradi­mento per l'uscita dalla guerra ci faceva soffrire. Né ci sentivamo autorizzati alla immoralità dei doppi giuochi dalla mancanza alla parola d'onore , con la quale chi ci aveva deportati ci aveva, invece, assicurati di poter tornare a casa. 28> Si credeva fermamente di fondare con la nostra intransigenza un nuovo costume nazionale e di poterlo diffondere al nostro ritorno in patria. La nostra era una speranza destinata ad amara delusione. È rimasta, però, viva non solo nella nostra memoria, ma anche come patrimonio e impegno personale e, forse, per questo ancora ci riconosciamo e ci comprendiamo fra di noi.
La tensione ideale, che sostenne la nostra resistenza nei lager e nella quale ho cercato di rintracciare il retaggio del Risorginmelo, si mantenne inrande-
2*) Forse anche per questo il Passate Talpe e tornorem fratelli del Risorgimento non era condiviso dagli internati, per i quali, invece, era necessaria la distruzione, nel cuore stesso del Reieh, del potere malefico, che aveva infettato l'Europa. E chiaro ohe noi allora ripartivamo in modo assai manicheo il Bene e il Male.