Rassegna storica del Risorgimento
GARIBALDI GIUSEPPE; VOLONTARIATO
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1982
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402
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Carlo Jean
mento rivoluzionario e repubblicano in uno moderato e monarchico. Appartenne a quest'aliquota il cosiddetto gruppo spagnolo , i cui più autorevoli esponenti Fanti, Cialdini, Cucchiti e i fratelli Durando convertitisi nel 1848 al partito moderato, entrarono a far parte dell'esercito piemontese, raggiungendo nel decennio successivo posizioni di grande rilievo. Basti pensare che, delle cinque divisioni di fanteria dell'Armata Sarda nel 1859, ben quattro erano comandate da generali provenienti da tale gruppo. Furono proprio tali esuli che tolsero all'Armata Sarda il suo carattere provinciale , facendole assumere quello nazionale. L'esercito che combatté nel 1859 era profondamente diverso da quello dei 1848.
Nel corso delle insurrezioni del 1848 si costituirono circa 300 gruppi di volontari, di consistenza estremamente varia da qualche decina fino a un migliaio di componenti. Essi operarono contro le forze austriache in modo estremamente scoordinato sia fra di loro, sia con l'Armata Sarda. Generalmente si limitarono a difendere località. Quasi inesistenti, invece, furono le operazioni di guerriglia. Caratteristico al riguardo è il mancato impiego dei circa ventimila volontari lombardi dopo Custoza. Il Comitato di Difesa di Milano, di cui facevano parte Fanti e Pisacane e alle cui dipendenze operava anche Garibaldi, aveva pensato di concentrarli a nord fra Bergamo e Brescia e di impiegarli contro il fianco destro delle forze austriache operanti contro l'Armata Sarda, che si supponeva dovesse ripiegare su Piacenza. Il rischio di veder passare l'iniziativa in mano ai democratici indusse, però, Carlo Alberto a ritirarsi su Milano, contribuendo al fallimento di tale piano e allo sbandamento di gran parte delle forze volontarie, che rimasero tagliate fuori più ad oriente. Un'aliquota di volontari lombardi, inquadrati in taluni solidi reparti di tipo regolare, seguì invece l'Armata Sarda in ritirata ad ovest del Ticino a seguito dell'armistizio di Salasco, fu riorganizzata dal gen. Fanti e costituì la 5a Divisione, che, nel 1849, venne affidata al comando del gen. Ramorino. I volontari non inquadrati in tale divisione furono disarmati, internati in Piemonte o semplicemente rimandati alle loro case. Un migliaio seguì Garibaldi nel Varesotto, nell'agosto del 1848, nel tentativo di suscitare una guerra di popolo o di forzare la mano ai piemontesi perché rompessero l'armistizio di Salasco e riprendessero le ostilità contro l'Austria.
Dopo la sconfitta di Novara, la 5a Divisione, passata al comando provvisorio del gen. Fanti, dopo la destituzione di Ramorino, fu sciolta rapidamente anche per il timore che i volontari lombardi andassero a Genova a rinforzare l'insurrezione antisabauda.
Nel 1849, con le difese di Brescia, di Roma e di Venezia, il volontariato nazionale diede il meglio di sé. Nonostante la sconfitta, esso affermò chiaramente la volontà dei ceti emergenti italiani di battersi e di non accettare il vecchio ordine. Sembrò allora che l'iniziativa dell'unificazione nazionale dovesse essere assunta dal movimento democratico repubblicano. Ma l'azione di statisti illuminati, come Azeglio e Cavour, ridette rapidamente al Piemonte un ruolo centrale, rinnovando profondamente il partito moderato. Quello democratico, invece, non potè esprimere una politica unitaria e il frazionismo e lo scoordinamento fra le sue varie correnti ne paralizzarono la capacità d'azione. Con Garibaldi, i volontari incominciarono a guardare al Piemonte, rinunciando ad azioni autonome. La politica di Cavour fu di incoraggiare tale movimento che legittimava in senso popolare l'azione dinastica, consentiva di rinforzare militarmente il Piemonte e sottraeva recinte al movimento democratico. In sostanza, fu adottato un sistema che consentiva di utilizzare l'apporto delle forze vive della na-